31 agosto 2012

CLASSIC ROCK IN VINILE - RIASSORTIMENTI

PRIMI RIASSORTIMENTI IN VINILE DELLA NUOVA STAGIONE.
CLASSICI DEL ROCK  IMPRESCINDIBILI.
OVVIAMENTE LA DISPONIBILITA' E' MOLTO PIU' VASTA, MA PER QUELLO DOVETE FARE UN SALTO IN NEGOZIO...

PINK FLOYD
Wish you were here
The wall









STONE ROSES
Omonimo 1°

JOHNNY CASH
At San Quentin



EDDIE VEDDER
Into the wild

HOT TUNA
Omonimo 1°


RED HOT CHILI P.
Californication

CREAM
Disraeli gears
(picture disc)


 
TOM WAITS
Rain dogs

THE WHO
Who's next



KING CRIMSON
In the court of the...
In the wake of Poseidon



VELVET UNDERGR.
Velvet & nico (con banana sbucciabile)
JOHN MAYALL
Blues breakers



CREEDENCE CL. REVIAL
Chronicle
CAT STEVENS
Tea for the tillerman



BOB DYLAN
Blonde on blonde

BELLE & SEBASTIAN
The boy with the arab


 
THE BEATLES
Abbey road

Anthology vol.2



CROSBY STILLS & NASH
Omonimo

STEPHEN STILLS
Omonimo


 
NIRVANA
Nevermind

PEARL JAM
Versus


ROLLING STONES
Exile on main street

THE WHO
Quadrophenia



U2
The unforgettable fire

BOSTON
Omonimo 1°

23 agosto 2012

ANTONY & THE JOHNSONS "CUT THE WORLD"

Esistono dischi per i quali le parole sono quasi inutili. E altri in cui qualsiasi parola non riuscirebbe a rendere completamente l'idea di quello che si ascolta. Come quasi sempre con gli album di Antony & the Johnsons l'unica parola che posso usare è "SUBLIME".
Se questo non vi basta potete leggere la recensione di Ondarock, ma il succo del discorso è sempre quello...



ANTONY AND THE JOHNSONS

Cut The World

2012 (Rough Trade) | songwriter, orchestral pop

Forse, per dover di cronaca, dovremmo iniziare questa recensione con la considerazione su quanto sia veramente utile (o meno) pubblicare un disco di vecchio materiale riarrangiato in chiave orchestrale. Sì, perché il più delle volte tale procedimento può risultare fatuo e autocelebratorio, oltre a dimostrare una momentanea carenza d'idee congiunta al bisogno di dover comunque riempire un vuoto pubblicando qualcosa. Tuttavia, l'attrazione che porta a cimentarsi nell'impresa di un album (o concerto) orchestrale esercita da sempre un forte potere su qualunque musicista; vi sono passati numi tutelari come Peter Gabriel e Joni Mitchell - stregati dall'eterno fascino che un'orchestra classica (con la sua miriade di combinazioni espressive) è capace di evocare - e molti altri continueranno indubbiamente a passarci ciclicamente, chi con nostalgia, chi con ritrovata originalità.
Oggi pertanto tocca, con un'iniziale punta di dubbio mista a (non)sorpresa da parte di chi scrive, ad Antony Hegarty. Dico "(non) sorpresa" perché l'artista in questione è già ampiamente noto al pubblico per l'uso di impasti orchestrali riscontrabili in praticamente tutti i suoi dischi di studio, al punto che viene spontaneo provare ad immaginarsi gli esiti, e magari chiedersi cosa mai possa aggiungere al già consolidato sound l'impiego della Danish National Chamber Orchestra; non dimentichiamo infatti che, con ben sette componenti, i Johnsons sono una mini-orchestrina a sé stante, uno strumento da sempre impiegato per realizzare in studio - e sul palco - le tessiture che accompagnano l'intensa voce di Antony attraverso le sue struggenti canzoni.

In questo caso, però, i dubbi si possono lasciare alla porta. Antony And The Johnsons si sono recati a Copenhagen, dove hanno registrato "Cut The World" in un concerto dal vivo con l'ausilio della suddetta orchestra. Il contenuto quindi non può definirsi "innovativo", ma dall'altro canto rimane impossibile non farsi (nuovamente!) catturare, accarezzare e sbatacchiare l'anima dalle splendide pagine di uno dei personaggi più "potenti" degli ultimi vent'anni.
La resa dal vivo qui attuata è a dir poco immacolata, tanto che non sarebbe sbagliato, ad un primo ascolto, pensare che "Cut The World" sia un disco di studio; una risoluzione tecnica praticamente perfetta (magari rifinita e corretta più tardi?) unita al palpabile silenzio religioso del pubblico danese, zitto non tanto perché i nordici sono meno rumorosi in luoghi pubblici, quanto perché di fronte a una performance di tale intensità aprire bocca sarebbe stato piuttosto fuori luogo.

È Antony il vero protagonista dell'intero concerto. Intenso, emozionante e decisamente a suo agio sul palco senza con ciò strafare in divismi, interpreta una libera selezione di alcuni dei suoi brani passati con quella voce sempre superlativa, riportandoli alla luce con un'accentuata bellezza. Intorno a lui si posizionano i fidi Johnsons, mentre nel sottofondo si animano le tessiture di un'orchestra tenuta sorprendentemente a freno, impiegata più per dar colore che non sovraccaricare le già ricche partiture; si notano soprattutto l'uso ausiliario dei fiati, che in certi momenti donano un tocco raveliano alle composizioni, mentre l'incrementata sezione d'archi riempe e allo stesso tempo dilata le atmosfere con lancinanti note sostenute a lungo, tappeti ad eco e giocose rincorse. Quando impiegate, le percussioni elevano i climax ritmici verso l'epico come una batteria da sola non potrebbe mai fare.

Due i brani originali presenti: la title track posta in apertura, una ballata piuttosto "tipica" dalle potenti tinte noir e accompagnata da un video truculento e decisamente femminista - che si fa un baffo del girl power di Geri Halliwell (e si presume avrà un seguito?) - mette in tavola i toni quasi provocatori come fosse il seme che ha dato germoglio all'intera opera.
A seguire infatti è il già piuttosto chiacchierato "Future Feminism", un discorso di quasi otto minuti nel quale Antony, partendo dall'analisi dell'influenza dei cicli lunari, traccia la sua personale visione del mondo, il suo conflittuale rapporto con la religione in quanto transgender, e le speranze per un futuro sostenibile sul pianeta Terra per tutti gli esseri viventi. È un discorso complesso - e che in diversi potranno trovare anche blasfemo a seconda del proprio credo religioso - ma Antony riesce, grazie anche a un pizzico d'ironia dispensata ad arte, nell'intento di comunicare le sue personalissime visioni senza scadere in una predica politica. Il dibattito è aperto.

Le restanti tracce, pescate dal patrimonio del passato, formano invece il vero corpo del disco. Quasi inutile dirlo, i brani tratti dall'omonimo album d'esordio (una delle opere musicali più intense del secolo scorso) sono sempre capaci di smuovere le montagne: maestose la versioni di "Twilight", nel crescendo ritmico eseguito con gran trasporto, e di "Cripple And The Starfish", sulla quale la linea introduttiva di violino viene trionfalmente rinforzata dall'orchestra intera, ma è "Rapture" a ridurre in lacrime anche l'ascoltatore più distratto - semplicemente impossibile non commuoversi di fronte a una melodia del genere e alle struggenti parole di Antony.
Appare poi un'onirica versione di "I Fell In Love With A Dead Boy" (dall'omonimo Ep), mentre dal ben più fortunato "I Am A Bird Now" (2005) viene scelta solo "You Are My Sister", nella quale manca (e si sente) il contrappunto con la bella voce di Boy George, ma Antony riempie con grazia ogni spazio interpretando la parte "mancante" col cuore gonfio d'amore.

A sorpresa, invece, sono ben quattro i brani presi da "The Crying Light" del 2009, l'episodio più criptico e minimalista della carriera di Antony. Qui i nuovi arrangiamenti prendono anima, movimentando di luce nuova le ombrose composizioni originali e donando una struttura certo più solida ma sempre calibrata e complementare alla voce. La deliziosa miniatura da camera di "Kiss My Name" si veste d'intarsi di fiati e archi, "Epilepsy Is Dancing" si fa accompagnare da un lievissimo pizzicato, "Another World" espande le dilatate forme quasi-new age, mentre "The Crying Light" si concentra tutta sulla sacralità dell'interpretazione di Antony che qui arriva al sublime.
Dall'ultimo disco in studio invece viene pescata solo la title track "Swanlights", un lamento nel quale la tesissima trama noise dell'originale viene cullata dolcemente da un tappeto di violini che toglie forse un po' d'atmosfera ma rende l'ascolto più dinamico per il pubblico in sala.

"Cut The World" è tante cose: è un disco live eseguito con perfezione quasi innaturale e una minima presenza di pubblico, è un disco di rivisitazioni orchestrali arrangiato però con classe sublime e non scontata, ed è pure una raccolta di ottime canzoni senza essere un "best of" di grandi successi.
Chi ha collezionato ogni singola uscita di Antony and the Johnsons nel corso degli anni potrebbe forse fare a meno dell'acquisto di "Cut The World", ma ascoltare nuovamente queste splendide canzoni sotto una lieve veste nuova è un piacere che non può far male a nessuno. Procuratevelo.
(22/08/2012)

22 agosto 2012

RY COODER "ELECTION SPECIAL"

ESCE IL GIORNO 28 AGOSTO IL NUOVO ALBUM DI RY COODER "ELECTION SPECIAL", UNA SORTA DI PROMEMORIA CHE OGNUNO DOVREBBE TENERE PRESENTE IN VISTA DELLE PROSSIME ELEZIONI PRESIDENZIALI AMERICANE.
UN DISCO CORAGGIOSISSIMO, PIENO DI QUEL CORAGGIO CHE MANCA A QUASI TUTTI I GRANDI NOMI DELLA MUSICA ITALIANA (E NON SOLO).
Eccovi la recensione dell'album apparsa sul blog di Enzo Curelli.


Provate ad immaginare e proiettare in salsa (rossa) italiana, tutto quello che sto per scrivere fra poco. Rimanendo circoscritti all'ultimo decennio, negli Stati Uniti sono usciti in concomitanza delle elezioni politiche presidenziali: una raccolta di brani messi insieme da una casa discografica (Fat Wreck Chords) che appartiene ai punkster NOFX di Fat Mike dal titolo Rock Against Bush (2004) che raccoglieva, addirittura in due uscite, qualcosa come una sessantina di band rock/punk, ma non solo, schierate apertamente contro il presidente George W. Bush e la sua rielezione; rimanendo in ambito rock, come non citare la trilogia che Al Jourgensen, leader degli industrial/metal Ministry, ha dedicato all'ex rampollo Bush, sbeffeggiandolo in tutti i modi come nella stupenda ed emblematica copertina di Rio Grande Blood-2006, con un George Bush rappresentato come un Cristo in croce e immerso dentro un barile di nero petrolio; il clamoroso e acclamato Vote for Change Tour che nel 2004 ha coinvolto alcuni tra i più grandi artisti mainstream rock statunitensi ( Jackson Browne, Bruce Springsteen, REM, Pearl Jam, James Taylor, Dixie Chicks, John Mellencamp e tantissimi altri) impegnati a scoraggiare la gente nel votare Bush, promuovendo il suo avversario John Kerry, attraverso un giro di concerti itineranti lungo tutti gli Stati Uniti; l'istant-disc di Neil Young, Living with War, uscito nel 2006 che si schierava in modo esplicito contro la guerra in Iraq e il governo Bush, auspicando, tra le righe, l'arrivo di un nuovo leader (Lookin' for a Leader); il sogno di Young si avvererà molto presto con l'avvento di Barack Obama, a cui Springsteen sembra affidare anche i suoi di sogni in Workin' on a Dream (2009).
Ora Barack Obama è giunto al giro di boa del suo primo mandato che non è stato tutto rose e fiori come si sperava, ma negli States c'è chi ci mette ancora una volta la faccia per la sua riconferma. In fondo, visti i precedenti, difficilmente qualcosa di meglio è all'orizzonte. Il 6 Novembre 2012 dovrà vedersela con il candidato/avversario, il repubblicano Mitt Romney.
Questa volta è il turno di Ry Cooder che ad un solo anno di distanza dal precedente Pull Up Some Dust And Sit Down che, in parte profeticamente, ci aggiornava sullo stato di salute finanziario della nostra povera società, fa uscire il suo disco istantaneo, quello da divulgare e consumarsi-apparentemente- entro la data delle prossime elezioni americane. Sperando che il suo sforzo non sia stato invano e le canzoni possano essere ricordate nel tempo, più forti di quel titolo "Speciale Elezioni" che sa tanto di quotidiano cartaceo USA e getta. Ascoltando le canzoni si capisce, però, quanto queste resteranno, eccome. 
Se Cooder sembra vivere da desaparecido il lato prettamente concertistico della sua carriera, l'esatto contrario si può dire dei suoi ultimi dischi che ricordano, invece, un giornale (o meglio, un sito web) in continuo aggiornamento. Dopo le pagine della finanza, ora tocca a quelle di politica interna, proprio quelle che spesso vengono saltate immediatamente in cerca di qualcosa di più scandalistico e meno noioso.
Ecco che in apertura, Ry Cooder vestito da scafato redattore, per attirare subito l'attenzione dell'ascoltatore/lettore ci piazza una ironica Mutt Romney Blues, che non è altro che una visione particolare del viaggio che Seamus, il povero e malcapitato setter irlandese della famiglia Romney dovette sorbirsi durante una vacanza nel lontano 1983: viaggio di 20 ore, sì in compagnia dei padroni, ma dentro ad una cuccia installata sul tetto dell'auto con conseguenze che sfiorarono il ridicolo quando il cane fu assalito da urgenti bisogni corporali. L'episodio diventò talmente famoso che il New Yorker ci fece anche una copertina e la moglie di Romney dovette rilasciare una intervista che finì per peggiorare le cose ed aumentare l'ilarità nazionale. Cooder ci racconta di quel viaggio dal punto di vista del povero setter ("caldo di giorno, freddo di notte/dove sto andando non lo so"), proprio come fece con il gatto Buddy nello splendido My Name is Buddy (2007), in un divertente e minimale folk/blues "nero"."Capisci molte cose da come una persona tratta il suo cane".Dice Cooder.
Si schiera dalla parte di chi occupò Zuccotti Park a New York e contro chi impose lo sgombro, come nell' hard/blues chitarristico di Wall Street Part Of Town che sembra battere il tempo dei migliori Stones, anche se a Cooder di parlare delle pietre rotolanti non va  molto a genio." Anche la vostra città ha la sua Wall Street? Quando arriverà la polizia a mandarvi via, dite loro chi paga i loro stipendi" ; così come il crescente business delle prigioni narrato in  Guantanamo che sembra ricordarci il perchè la coppia Jagger/Richards, ai tempi, voleva proprio Ry Cooder in formazione. "Il primo a suonare un sol aperto davanti ai miei occhi fu Ry Cooder-tanto di cappello , devo dire, dinnanzi a Ry Cooder" firmato Keith Richards.
Ry Cooder non ha peli sulla lingua e non risparmia nessuno, creando una sorta di divisione tra colpevoli e piccoli eroi. Da una parte i colpevoli come i fratelli miliardari David e Charles Koch attaccati in Brother Is Gone guidata dal mandolino. Pessimo esempio da seguire quello dei fratelli arrivisti che sembrano aver stretto un patto con il diavolo che si ripercuote sulla povera gente, dice Cooder; poi, una bella invettiva contro i repubblicani  con Sarah Palin in testa nel country/folk da scampagnata estiva di Going To Tampa; oppure immaginando, nella ballata folk di The 90 and The 9, un dialogo di carattere politico tra un padre e il suo bambino ambientato a Los Angeles: " se parli male di loro, saranno duri con te" a proposito dell'assurda possibilità data agli ufficiali dell'esercito di presentarsi nelle aule delle scuole pubbliche, a propagandare la carriera militare spacciandola come possibile e radioso futuro di vita.
 Ma crea anche dei quadri cinematografici eccezionali: come nella povertà musicale e tradizionalista del  blues di Cold Cold Feelings, dove riesce ad immaginare un Barack Obama, solo e pensoso mentre cammina avanti ed indietro nell'oscurità dell'ufficio ovale della Casa Bianca: "prima di accusare e criticare, cammina qualche miglia nei suoi panni"; oppure l'incedere oscuro e darkeggiante del blues Kool-Aid che narra solo una delle ultime storie di razzismo verso la comunità di colore avvenute in Florida, ultimamente, e che ha visto il presidente Obama intervenire in prima persona.     
Meno vario musicalmente, se paragonato agli ultimi lavori, ma più rigoroso, diretto, vero, rispettoso e fedele alla forma Folk/blues con qualche ben assestata stoccata rock. Cooder, musicalmente non ha più nulla da dimostrare. La sua grandezza è riconosciuta, ora dobbiamo solo ascoltare cosa vuole ancora dirci. Suonato interamente da Ry Cooder con l'unico aiuto del figlio Joachim alla batteria. Election Special, a discapito del titolo, è un disco che rimarrà nel tempo ad indicare il coraggio di un artista che sta disegnando il quadro della società americana meglio di chiunque altro in questo momento.   
Ry Codder sta recitando, e gli riesce molto bene, la parte del vecchio cantore di protesta Woody Guthrie, ma conscio come da lui stesso ammesso, che la canzone politica, al giorno d'oggi, poco può fare per far smuovere le masse. E lo sa bene uno come Bob Dylan a cui sembrano interessare poco le sorti della sua America, forte di una produzione che negli anni sessanta sembra aver detto tutto quello che doveva dire, e capendo prima di tutti che le protest songs a poco sono servite. Ry Cooder, nonostante tutto, non demorde.
Il fantasma di Guthrie sembra apparire anche nel finale rock/blues battente di Take your Hand Off It, scritta con il figlio e che presenta Arnold McCuller ai cori.
Sia Guthrie-nell'anno del centenario dalla nascita- che il nuovo album, saranno celebrati a dovere il 14 Ottobre con un concerto a Washington denominato This Land Is Your Land e che vedrà Cooder impegnato insieme a Jackson Browne, Old Crow Medicine Show, Arlo Guthrie, Tom Morello e molti altri.
Ora, vorrei tornare alla domanda che vi ho fatto all'inizio...

10 agosto 2012

DEAD CAN DANCE "ANASTASIS"

DEAD CAN DANCE
"ANASTASIS"
In greco significa "resurrezione" e per un gruppo che si riunisce dopo 15 anni titolo non poteva essere più indovinato. Ma a differenza di tante reunion che lasciano il tempo che trovano, Brendan Perry e Lisa Gerrard si rimettono insieme per un progetto di assoluto rilievo e di assoluta bellezza. Come si evince anche dalla bella recensione del sito "Ondarock" che potete leggere qui di seguito.


DEAD CAN DANCE

Anastasis

2012 (4ad) | dark-wave

La prima domanda che sorge spontanea alla notizia di una reunion è inevitabilmente legata alle motivazioni dietro tale decisione. Di reunion, in questi anni, ne abbiamo viste tante: molte accolte con il piacere di un "bentornati", altre capaci di partorire nuovi tasselli da aggiungere a trascorsi importanti; ma una considerevole parte di queste ha finito col produrre lavori di gran lunga inferiori alle attese.
Brendan Perry e Lisa Gerrard di grandi cose ne hanno fatte tante. Con le loro voci, in primis, e con la loro eterna ricerca. Nell'unione musicale e sentimentale dei Dead Can Dance hanno saputo scrivere alcune fra le pagine più suggestive e innovative della musica tutta, distanziandosi con originalità da qualsiasi etichetta, pescando da un passato arcano, mescolando le radici con la sperimentazione, agganciandosi qua e là a tendenze più o meno definite, ma mantenendosi sempre ben affrancati a un marchio di fabbrica esclusivo. Nel corso degli anni, in tanti hanno provato a interpretare - con risultati anche lusinghieri - tutto o parte del loro stile, chi all'insegna del misticismo puro (Arcana), chi volgendo lo sguardo alla più totale contaminazione etnica (Unto Ashes), chi ancora saturando di piaghe elettroniche il sangue puro di partenza (Love Is Colder Than Death). Tre quarti di quella che oggi suole classificarsi sotto l'etichetta di dark-wave deve buona parte della sua ispirazione ai due, che, dopo la separazione, nei rispettivi percorsi solisti hanno adattato la potenza evocativa della loro musica all'immagine: quella dei film (Gerrard) ma anche quella dell'intimo cantautorato e della pura suggestione (Perry).

Oggi, a tredici anni dal bistrattato ma non certo pessimo "Spiritchaser", epitaffio che segnò una deriva prettamente etnica, le due metà si ricongiungono, ed ecco tornare a brillare il marchio Dead Can Dance. Riprendendo il discorso precedente, è lecito domandarsi cosa potesse avere di nuovo da dire un duo il cui percorso pareva essere un cerchio perfetto, al punto da non sbagliare neanche un disco, evolvendosi lentamente e in maniera naturale. Per rispondere, poteva essere sufficiente l'indizio di "Amnesia", assaggio regalatoci dai due a un mese dalla release del disco: l'ugola di Perry, intatta e ancor più profonda, esattamente come ce la ricordavamo dalle otto sculture di "Ark", si produce in una lirica liturgia, cesellata da un profetico gorgheggio che riconduce a un mondo lontano, quasi "orientale". C'è l'etnico di "Spiritchaser", c'è la poetica di "Into The Labyrinth", ma c'è anche una forza espressiva nuova e matura.

Addentrandosi nei meandri del disco, sgorga da subito il buon vecchio "gotico": quale modo migliore per definire "Children Of The Sun", maestosa sinfonia dalle oniriche aperture? Siamo qui di fronte al lato candido di Perry e a quell'atmosfera di filosofica riflessione "estiva" a cui lo stesso faceva riferimento nel presentare il disco, che incede fino a raggiungere l'estasi nel finale fiatistico. Il sangue scorre, lento e fluente, verso "Anabasis": ed ecco Gerrard muoversi fra cupi arabeschi, misticismo ed elettronica, in una performance quasi "corale", memore di quel "The Mirror Pool" che segnò la sorpresa di un suono scarnificato e obliquo. E su sentieri simili viaggia "Kiko", aggiungendo quel sentore medievale esplorato e sviluppato in "Aion": il sound è ancor più rarefatto, essenziale e austero, come forse non lo era mai stato prima.

Tratti somatici orientaleggianti caratterizzano invece "Agape", inno a una divinità immaginaria, ornato dal vibrante e profondo fondale del sitar a dettare legge accompagnando il canto. La Gerrard armonica e multiforme fa la sua comparsa nell'eterea marcia liturgica di "Return Of The She-King", dove il sostrato sonoro si limita per buona parte del brano a fungere da cornice, lasciando spazio ai languori di una voce in perenne forma.
Riecco apparire Perry nel toccante e romantico miscellaneo di "Opium", "canzone" nel significato vero e proprio del termine, frondata da sprazzi di archi solenni e, soprattutto, nel superbo congedo di "All In Good Time", emozionante accompagnamento verso un sogno eterno, con la voce praticamente sola a cullare la mente per i primi quattro minuti e sostituita, nel finale, da un formidabile unisono strumentale, suggellato in un minuto di notevole intensità.

I Dead Can Dance sono tornati e la loro "resurrezione" (questa la traduzione dal greco del titolo dell'album) non poteva essere più lucente. "Anastasis" è disco legato strettamente ai loro trascorsi ma mai autoreferenziale, l'album maturo di un duo il cui suono trae le sue coordinate da stili senza tempo, tanto quanto pare esserlo la loro musica. Una gran sorpresa, ben oltre le più rosee aspettative, e uno dei prodotti finora migliori di questo 2012. Giù il cappello.
(01/08/2012)

8 agosto 2012

LE PROSSIME USCITE DISCOGRAFICHE

ECCOVI UNA PRIMA LISTA DELLE USCITE DISCOGRAFICHE DELLE PROSSIME SETTIMANE, TRA FINE AGOSTO E FINE SETTEMBRE.



ALANIS
MORISSETTE
Havoc and bright lights






ALICE
Samsara




BLOC PARTY
Four






BOB DYLAN
Tempest







THE DARKNESS
Hot cakes







ELBOW
Dead in the boot








LOREDANA ERRORE
Una pioggia di comete







GEMELLI DIVERSI
Tutto da capo








GREEN DAY
Uno!







INCUBUS
HQ Live





LYNYRD SKYNYRD
Last of a dyin' breed








MARK KNOPFLER
Privateering






 



MUSE
The 2nd law








NESLI
Nesliving vol.3
Voglio







RY COODER
Election special









SKUNK ANANSIE
Black traffic








THE SCRIPT
#3

1 agosto 2012

ITALIA LOVES EMILIA

E NON DIMENTICATE IL MEGA CONCERTO BENEFICO 
"ITALIA LOVES EMILIA"
DOVE LIGABUE OSPITA ALCUNI DEI GRANDI DELLA MUSICA ITALIANA PER UNA SERATA A FAVORE DELLE POPOLAZIONI COLPITE DAL TERREMOTO DELLO SCORSO MAGGIO.
BIGLIETTI ANCORA IN VENIDTA QUI IN NEGOZIO AL COSTO DI 25 EURO.
IL "CAMPOVOLO" DI REGGIO EMILIA E' MOLTO GRANDE MA SONO GIA' STATI VENDUTI QUASI 70.000 BIGLIETTI QUINDI IL CONSIGLIO E' DI AFFRETTARSI.


QUESTO E' IL CAST COMPLETO...SEMPRE CHE UN CERTO VASCO ROSSI NON DECIDA ALL'ULTIMO DI ACCETTARE L'INVITO CHE GLI HA RIVOLTO LIGABUE...

GREEN DAY BOLOGNA "I-DAY FESTIVAL 2012"

I-DAY FESTIVAL BOLOGNA
2 SETTEMBRE 2012.
CON KOOKS, ALL TIME LOW, 
ANGELS & AIRWAVES,
SOCIAL DISTORTION E INFINE I
GREEN DAY
CHE IN QUELL'OCCASIONE PRESENTERANNO IL LORO NUOVO ALBUM "UNO" IN USCITA A FINE SETTEMBRE.
BIGLIETTI ANCORA DISPONIBILI, MA NON DORMITECI TANTO SOPRA....

I BIGLIETTI COSTANO € 46 E I CONCERTI SARANNO ALL'ARENA PARCO NORD DI BOLOGNA.

 
 

RADIOHEAD BOLOGNA

ULTIME DISPONIBILITA' ANCHE PER IL CONCERTO DEI RADIOHEAD ALL'ARENA PARCO NORD DI BOLOGNA DEL PROSSIMO 25 SETTEMBRE.
APPUNTAMENTO ASSOLUTAMENTE IRRINUNCIABILE CON LA BAND DI 
THOM YORKE E SOCI.
ULTIMI BIGLIETTI DISPONIBILI QUI IN NEGOZIO AL COSTO DI € 57,50.


E' VERO CHE LA PRECEDENTE LOCATION IN PIAZZA MAGGIORE ERA PIU' INVITANTE, MA UN CONCERTO DEI RADIOHEAD E' DA VEDERE...
A PRESCINDERE!!!

PREVENDITA NEGRITA

ARRIVA A MODENA IL
"DANNATO VIVERE TOUR"
DEI NEGRITA.
IL GRUPPO DI PAU SARA' A MODENA
ALL'ARENA DELLA FESTA DELL'UNITA' IL PROSSIMO 14 SETTEMBRE.
BIGLIETTI GIA' IN PREVENDITA QUI IN NEGOZIO AL PREZZO DI € 17,25.
PER OGNI BIGLIETTO VENDUTO 5 EURO SARANNO DEVOLUTI PER LA RICOSTRUZIONE DEL POLO SCOLASTICO DI FINALE EMILIA.
E BRAVI NEGRITA!!!!

SERIE "ESSENTIAL"

LA SERIE "ESSENTIAL" E' STATA CREATA DA SONY-BMG PER PROPORRE A PREZZO SPECIALE RACCOLTE DI GRANDI ARTISTI DEL SUO CATALOGO.
SONO TUTTI CD DOPPI CON LE CANZONI PROPOSTE IN ORDINE CRONOLOGICO, DALLE PIU' VECCHIE ALLE PIU' RECENTI. ECCOVI UNA CARRELLATA DI ALCUNI TITOLI DELLA SERIE. TUTTI QUANTI COSTANO € 11.90


ESSENTIAL
AEROSMITH
2 CD - 30 CANZONI
€ 11,90



ESSENTIAL
ALICE IN CHAINS
2 CD - 28 CANZONI
€ 11.90






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DAVE BRUBECK
2 CD - 31 CANZONI
€ 11,90






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MARIAH CAREY
2 CD - 29 CANZONI
€ 11.90







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THE CLASH
2 CD - 41 CANZONI
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LEONARD COHEN
2 CD - 31 CANZONI
€ 10,90







ESSENTIAL
JOHN DENVER
2 CD - 36 CANZONI
€ 11.90





ESSENTIAL 
CELINE DION
2 CD - 36 CANZONI
€ 11,90





 
ESSENTIAL
BOB DYLAN
2CD - 36 CANZONI
€ 11,90






ESSENTIAL
EARTH,WIND & FIRE
2 CD - 34 CANZONI
€ 11,90





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ELECTRIC LIGHT
ORCHESTRA
2 CD - 37 CANZONI
€ 11,90





ESSENTIAL
EMERSON, LAKE & PALMER
2 CD - 26 CANZONI
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WHITNEY HOUSTON
2 CD - 34 CANZONI
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ESSENTIAL 
BILLY JOEL
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ESSENTIAL
JOURNEY
2 CD - 34 CANZONI
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JUDAS PRIEST
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ESSENTIAL
CAROLE KING
2 CD - 33 CANZONI
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ESSENTIAL
KORN
2 CD - 28 CANZONI
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ESSENTIAL
JACO PASTORIUS
2 CD - 27 BRANI
€ 11,90




 


ESSENTIAL
LOU REED
2 CD - 31 CANZONI
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ESSENTIAL
JOE SATRIANI
2 CD - 30 CANZONI
€ 11,90





ESSENTIAL
SIMON &
GARFUNKEL
2 CD - 40 CANZONI
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ESSENTIAL
STEVIE RAY VAUGHAN
2 CD - 33 CANZONI
€ 11,90