31 ottobre 2011

Florence + The Machine: la recensione di Ondarock

Vi presentiamo la recensione pubblicata dal sito ondarock.it di Ceremonials, il nuovo album di Florence + The Machine. 


FLORENCE + THE MACHINE

Ceremonials
(Island) 2011
 
di Magda Di Genova
 
 
 
  
 
 
A distanza dei due canonici anni da "Lungs", album partito in sordina per poi diventare un long-selling, fucina di singoli e magnete di premi (Brit, Grammy e Mercury inclusi), esce "Ceremonials", disco atteso con le più alte aspettative che, fortunatamente, non delude. Sappiate subito comunque che se all'ascolto del ritornello del singolo apripista "Shake It Out" avete storto il naso, tranquilli: siete incappati nel momento più scialbo del disco.
"Ceremonials" è un ottimo disco pop intelligente, non comune e non scontato, che include canzoni piacevoli all'ascolto, canticchiabili, che allungheranno le vostre labbra in un sorriso.

La potente voce della Welch è ovviamente ancora protagonista, ma più misurata. Sempre e giustamente in primo piano, ma i momenti in cui si alza per farsi sentire, per imporre la presenza di una Florence-bambina spaventata dalla vita, sono stati ora sciolti dalla Florence-donna consapevole e profonda allo stesso tempo.
Anche le voci che fanno da coro sono presenti in maniera diversa: in "Lungs" erano le voci nella testa di Florence che la inquietavano, ora, anziché urlare (e urlarci) contro, sono sue alleate, in "Ceremonials" sono presenti per supportarla ("Leave My Body", "Breaking Down").
Abbandonati anche i testi "anatomici", c'è ora spazio per i sentimenti, la consapevolezza, la spiritualità ("Seven Devils", "All This And Heaven Too") e atmosfere più ampie, più "arieggiate" ("What The Water Gave Me", "Shake It Out").

Se "Lungs" è stato disco votato musicalmente all'ironia e al divertimento e liricamente alla continua vivisezione della stessa Welch alla ricerca delle sue paure più viscerali, "Ceremonials" è il risultato di una grande maturazione artistica e personale e si sente. L'impressione è che, musicalmente parlando, i Florence + The Machine stiano iniziando a prendersi le loro responsabilità.
Nonostante i punti di contatto con il disco precedente ("No Light, No Light", "Heartlines"), alcuni potrebbero trovare questo disco poco immediato, meno giocoso e più riflessivo di quanto ci si aspettasse, ma non per questo risulta essere poco orecchiabile, coinvolgente o godibile.
La sensazione che "Cerimonials" lascia una volta suonato nella sua interezza, è quella di una nuova impazienza per il prossimo disco, che ci aspettiamo ancora più maturo, magari vicino alla perfezione.

Sugli scaffali dei negozi (ebbene sì!) anche la versione deluxe. Il secondo cd contiene otto brani di cui quattro bellissimi inediti (adoro "Landscape", peccato sia stata scartata a priori per entrare nel primo cd), una versione demo e tre tracce in un'interessante versione acustica. Vivamente consigliato.

29 ottobre 2011

Achtung Baby: 20 anni dopo

A distanza di vent'anni dalla sua pubblicazione, lunedì prossimo uscirà l'edizione remasterizzata di Achtung Baby degli U2, uno dei vertici della loro carriera e uno tra i dischi più importanti dell'ultimo ventennio. Ecco come ne parlava nel 1991, alla vigilia dell'uscita, Ernesto Assante su Repubblica.  


U2, UN PASSO AVANTI - di Ernesto Assante  


IL ROCK di oggi, come spesso è accaduto da trenta anni a questa parte, ha cambiato pelle, frequenta altri suoni, non è più quello di venti e nemmeno di dieci anni fa. Se ne sono accorti anche gli U2 che con il loro nuovo album, Achtung Baby (ed. Island), pronto ad uscire nei negozi il prossimo 18 novembre, danno una potente sterzata alla loro musica e tornano a cavalcare l' onda di un rock moderno, selvaggio, passionale ed attualissimo dopo aver scavato a fondo nelle radici e nella tradizione del rock con la non felicissima "esplorazione" americana di Rattle & Hum. Bono, The Edge, Larry Mullen Jr. e Adam Clayton riprendono il discorso che era stato interrotto nel 1987, all' indomani dell' uscita di The Joshua Tree e, richiamando in squadra il duo di produzione Daniel Lanois e Brian Eno, hanno ben deciso di abbandonare l' alone "mitico" che avvolgeva l' autocelebrazione di Rattle & Hum e sono tornati a far musica in maniera immediata, diretta, coinvolgente. Achtung Baby è un bel disco e potrebbe lasciare interdetti molti dei fans della band irlandese, perchè rinuncia in gran parte al suono classico, epico e romantico, che ha caratterizzato alcuni dei loro dischi migliori, scegliendo invece la strada di una originalissima fusione di elementi diversi, dalla psichedelia delle ultime leve americane, al ritmo vicino alla dance che ha caratterizzato le produzioni di moltissime band inglesi (dagli Stone Roses agli Happy Mondays), fino ad arrivare all' elettricità ed al "rumore", all' uso esasperato di distorsori e feedback sul suono della chitarra, che domina quasi tutto l' album.

E' un disco facile e difficile al tempo stesso: facile perchè molti dei brani del disco risultano accattivanti, ricchi di melodie cantabili, ritmati ed addirittura ballabili (abitudine che in realtà gli U2 hanno sempre avuto); difficile perchè al di là della struttura dei brani, spesso semplicissima, il disco è elaboratissimo nel campo dei suoni: al lavoro di produzione, missaggio ed ingegneria del suono hanno lavorato, oltre a Brian Eno e Daniel Lanois, altre cinque persone, tra le quali Steve Lilliwhite, ed è proprio questo incredibile lavoro a rendere originalissimo il disco, a farne un piccolo gioiello di modernità e di stile. Che il disco suoni in maniera diversa dai precedenti lo si sente fin dall' inizio, dal brano di apertura, Zoo Station, manipolato fino all' inverosimile dal team di produzione, fino a stravolgere con l' uso di filtri anche la voce di Bono, un brano dal ritmo ossessivo che dichiara immediatamente le intenzioni rock della band. Ma anche gli altri brani del disco non sono meno esplosivi ed affascinanti, da Even better than the real thing, manchesteriano e godibilissimo, a One, una ballata dove è la bellissima voce di Bono a dominare, passando per il brano che fa parte della colonna sonora del nuovo film di Wim Wenders, Until the end of the world, maggiormente legato allo stile abituale degli U2.

Più che la voce di Bono è la chitarra di The Edge a scandire i passaggi emozionanti di questo disco, come in Who' s gonna ride your wild horses, un perfetto singolo da classifica con un ritornello cantabilissimo, un brano d' amore e passione che esalta le doti pop della band ma che proprio nel lavoro di The Edge, rumorosissimo e sovraesposto, trova un insolito elemento di rottura. E vanno ancora segnalati So cruel, uno dei brani migliori del disco, ritmica soul, canto in odor di gospel, violini minimalisti, un gioiello di contaminazione e creatività; il più accattivante e facile Mysterious way ed i conclusivi Acrobat, l' unico brano a richiamare i contenuti politici e religiosi della band e Love is blindness, una sorta di blues sofferto e misterioso. Non è un caso, infine, se tra i ringraziamenti in copertina compaiano i nomi di David Bowie, Peter Gabriel, Lou Reed, che affiancati a quello di Eno legano in maniera indissolubile il percorso musicale odierno degli U2 alla migliore scuola creativa del rock britannico; e che parte di questo disco sia stato realizzato a Berlino, viste le atmosfere che lo dominano, dove luce ed oscurità si incontrano spesso, dove la passione e l' energia diventano lingua cantata, melodia inafferrabile, grandissimo rock.





 

Le prevendite per l'Off

Ecco l'elenco aggiornato dei concerti che si terranno all'OFF (Via Morandi 71, Modena) per i quali abbiamo i biglietti in prevendita. E ricordate che la prevendita costa meno del biglietto alla cassa!    




EX-OTAGO
5 Novembre


Prevendita € 6



 
BRUNORI SAS
11 Novembre

Prevendita € 8








PAOLO BENVEGNU'
1 Dicembre


Prevendita € 10 










DENTE
6 Dicembre

Prevendita € 10












MARTA SUI TUBI
9 Dicembre


Prevendita € 10










I CANI
16 Dicembre


Prevendita € 8







28 ottobre 2011

In uscita il 31 ottobre

Queste sono le novità in uscita lunedì 31 ottobre.  

LOU REED & METALLICA
Lulu








FLORENCE + THE MACHINE
Ceremonials








U2
Achtung Baby Remastered
(In varie edizioni)








STING
The Best Of 25 Years








MARRACASH
King Del Rap


 

24 ottobre 2011

Tom Waits - Bad As Me: la recensione di Rockol

Vi proponiamo la recensione pubblicata da rockol.it del nuovo album di Tom Waits, in uscita domani. 


Tom Waits
BAD AS ME
Anti (CD)









Qual è il Tom Waits che vi piace di più? Quello apparentemente disordinato e rumorista? Quello rarefatto e lirico? Quello che come nessun altro reinterpreta i suoni del rock e del blues delle origini? Il narratore di storie surreali? Perché in “Bad as me”, quel Tom Waits c’è. C’è persino il Tom Waits notturno e jazzato che non ascoltavamo da non si sa più quanto tempo. E tutto questo senza che “Bad as me” - 17° disco di studio, il primo di inediti in 7 anni da “Real gone” - suoni come un disco autoindulgente o autocitazionista. Perché Waits è sempre stato l’opposto di queste due caratteristiche tipiche di tanti artisti della sua età, della sua fase della carriera. E continuerà ad esserlo.
“Bad as me” è un piccolo capolavoro, nella sua varietà. L’inizio inganna, con un rock scuro in puro stile Waits, dedicato alla città del Blues, Chicago, in cui si fondono tre immensi musicisti: i fiati di David Hidalgo (Los Lobos) e le chitarre di Keith Richards e di Marc Ribot. E’ una delle canzoni che anticipano uno dei temi del disco, ma di certo non l’unico. E sì, per la cronaca, Richards e Ribot si ritrovano a sfidare le chitarre anche in “Satisfied” - omaggio a “Satisfaction" e ai Rolling Stones, in cui Waits cita direttamente Jagger e il suo alter ego. Ma non è il momento migliore del disco: è “solo” una bella canzone, la logica prosecuzione di quel filone “roots”-rumorista che Waits frequenta dagli anni ’80, da quando passò alla Island dopo il periodo “notturno” della Asylum. Un filone in cui Waits si sbizzarisce anche questa volta (soprattutto in “Hell broke luce”)
No, i momenti migliori del disco sono quelli lirici. Il momento migliore di Richards, per intenderci, non è dato dalla sua chitarra (che compare in 4 brani), ma dalla sua voce rotta che fa da contro canto a quella di Waits in “Last leaf”, ballata acustica emozionante, che ricorda i fasti di "That feel" ("Bone Machine", 1992, che i due scrissero e cantarono assieme).
E su questo genere ci sono tanti esempi, in questo disco. C’è “Face to the highway”, c’è “Back in the crowd”. C’è la finale ed emozionante “New year’s eve”, con una dizione ed una cantilena che ricordano un altro maestro, Leonard Cohen, con una melodia che cita la canzone di fine anno per eccellenza, “Auld lang syne”.
E c’è soprattutto “Kiss me”. Dove riaffiora il Tom Waits che non ti aspetti: quello notturno della prima fase della carriera, del periodo Asylum. Contrabbasso in primo piano, chitarra e poi piano in lontananza, lui che canta “Kiss me, kiss me like a stranger once again”. Quelle atmosfere da “Nighthawks at the diner” che Waits sembrava avere rinnegato da tempo, quelle che lo hanno fatto conoscere a molti di noi. Lo promettiamo, Tom: se un giorno deciderai di tornare a fare questa musica, non ti accuseremo di essere autoindulgente. Ascolteremo rapiti, e basta.
Non è l’unica canzone dove si sente il piano, completamente rinnegato in “Real gone”. Anche se è evidente, come hanno notato su Mojo, che il suono distintivo della musica di Waits è la chitarra di Marc Ribot, presente praticamente in tutte le canzoni e ormai parte del DNA di questo artista.
Ma questa volta Waits ha deciso di presentare tutti, ma proprio tutti i lati della sua musica, offrendoci la sua musica migliore da quelle “Mule variations” che l’hanno riportato sulle scene alla fine degli anni ’90 e che hanno inaugurato un decennio davvero memorabile. Un decennio (12 anni, per la precisione) che trova il suo punto più alto in questo gioiello dal titolo di “Bad as me”.

(Gianni Sibilla)

TRACKLIST:
"Chicago"
"Raised right men"
"Talking at the same time"
"Get lost"
"Face to the highway"
"Pay me"
"Back in the crowd"
"Bad as me"
"Kiss me"
"Satisfied"
"Last leaf"
"Hell broke luce"
"New year’s eve"

22 ottobre 2011

In uscita il 25 ottobre

Ecco un elenco delle principali novità in uscita martedì 25 ottobre:

COLDPLAY
Mylo Xyloto






TOM WAITS
Bad As Me












AA.VV.
Bridge School Concerts - 25th Anniversary


(con Bruce Springsteen, Pearl Jam, Neil Young, R.E.M., Paul McCartney, Metallica, CSNY, Thom Yorke e molti altri)

STING
The Best Of 25 Years






PEARL JAM
20 - Original Motion Picture

(Dvd e Blue Ray)
















PETER GABRIEL
New Blood - Live in London


(Dvd e Blue Ray)
















MICHAEL BUBLE'
Christmas












JUSTICE
Audio, Video, Disco












NEGRITA
Dannato Vivere












JASON DERULO
Future History












ALESANA
A Place Where The Sun Is Silent

21 ottobre 2011

Noel Gallagher High Flying Birds: la recensione di Rockol.

Questa è la recensione del primo album solista di Noel Gallagher, pubblicata dal sito rockol.it  


Noel Gallagher
NOEL GALLAGHER'S HIGH FLYING BIRDS


Un colpo di tosse, un rumore di spartiti che si sistemano. Poi una batteria apre la strada ad un'intera orchestra sinfonica che sembra diretta da Ennio Morricone. Comincia così, con un tono un po' epico e drammatico, l'esordio solista di Noel Gallagher. Sono passati oltre due anni dallo scioglimento degli Oasis, la band che lui ha lasciato dopo l'ennesimo litigio con Liam. Il fratello minore nel frattempo ha deciso di continuare con i Beady Eye, mentre "The Chief" ora corre da solo. Nonostante questo strano pseudonimo usato per pubblicare il disco, "Noel Gallagher's High Flying Birds", quasi uno specchietto per le allodole, una coperta di Linus dietro la quale nascondersi.
Non ce ne voglia l'altro Gallagher, ma le aspettative per questo disco erano decisamente più alte rispetto a quelle per "Different gear, still speeding". Canzoni come "Live forever", "Don't look back in anger" e "Wonderwall" dopotutto portano la firma di Noel. Ecco, sta proprio qui il punto. E' difficile accostarsi a "Noel Gallagher's High Flying Birds" senza avere in mente i fasti del passato. Il rischio di farlo, anche inconsciamente, è sempre dietro l'angolo. "Dov'è la voce di Liam?". "Dove sono le chitarre elettriche?", potrebbe chiedersi qualcuno. Niente di più sbagliato. Molto meglio schiacciare il tasto play e gustarsi queste canzoni perché sinceramente - e finalmente viene da dire - la qualità del songwriting di Noel Gallagher è tornata su livelli molto alti, complice forse la totale libertà con cui ha registrato questo disco, facendo la spola tra Londra e Los Angeles in compagnia del fidato produttore Dave Sardy.
Per capirlo conviene partire proprio da quel colpo di tosse, da quel rumore di spartiti. Perché il primo brano "Everybody's on the run" è una canzone d'apertura sontuosa, forse la migliore del disco. Qualcosa è cambiato: poche chitarre, tanti archi e soprattutto un'urgenza espressiva che si era un po' persa negli ultimi annacquati dischi degli Oasis. E poi la voce di Noel è in forma come non mai, davvero da far venire invidia al fratello. Come nella seconda traccia "Dream on", un numero sfacciatamente alla Kinks con una batteria in stile marcetta che ricorda "The importance of being idle", dove la sua ugola fa su e giù tra un falsetto e l'altro.
Certo, qualche scheggia del passato ogni tanto sfugge al controllo. Ma non è un problema, se il risultato è un brano come "If I had a gun..": in pratica una "Wonderwall" del 2011, che richiama anche nella progressione degli accordi. Una bella ballata radiofonica, come il maggiore dei Gallagher non ne scriveva da tempo. Come detto però, il suono che prevale nel disco è quello ispirato da Mr.Ray Davies, più che dal solito duo Lennon/Mccartney. Il singolo "The death of you and me" lo conferma, prima di esplodere in una piccola suite di fiati che sa di New Orleans. C'è perfino una canzone "politica", il bozzetto surreale di "Soldier boys and Jesus freaks", che racconta storie d'amore, morte e religione al tempo della guerra - come ci ha confessato Noel in una recente intervista - e ha ancora una volta, guardacaso, un assolo di tromba invece che di chitarra. Anche in questo caso c'è un omaggio ai Kinks, visto che il verso "All the people on the village green, have gathered round their TV screens" fa riferimento al classico della band londinese datato 1968. Forse un po' ingenua, ma nel complesso godibile.
Il registro è più o meno sempre questo: molto classico, come sempre citazionista e British fino al midollo. "AKA..What a life" sembra un pezzo degli Happy Mondays ed è la più "ballabile" dell'album. "AKA…Broken Arrow" fin dal titolo cita esplicitamente Neil Young ma viaggia su strade melodiche raffinate, arricchite da una sezione ritmica stavolta più complessa e quasi sudamericana. Un pezzo bellissimo, tra i migliori senza dubbio, che ci ricorda le doti di scrittura di "The Chief". "Stranded on the wrong beach" è invece uno stomp rock-blues non indimenticabile, forse il più debole del lotto.
"Noel Gallagher's High Flying Birds" è un disco che ha avuto una gestazione lunga. Molte di queste canzoni erano negli archivi da anni. E sembra che Noel l'abbia fatto apposta, quasi volesse preservarle per il momento giusto. Sarebbe stato un peccato non pubblicarle. "(I wanna live in a dream in my) Record Machine", che doveva essere su "Dig out your soul" ma non è mai stata finita, è una gemma pop epica, arricchita dalle voci del Crouch End Festival Chorus che rafforzano le strofe e aprono ad un ritornello molto orecchiabile. Forse un po' iperprodotta, ma valida.
Il passato ritorna, nei cieli degli High Flying Birds. Spesso e volentieri. E così il pezzo che chiude il disco meriterebbe una recensione a sé: "Stop the clocks" è un pezzo scritto ormai dieci anni fa, che circolava in Rete da tempo. Molto atteso dai fan, definito "Una delle migliori canzoni che abbia mai scritto" dal suo stesso autore. Forse un giudizio esagerato, però anche in questo caso ci troviamo di fronte ad un brano davvero notevole, una classica "nenia" alla Oasis che qui riesce però ad assumere un tono più intimo, confessionale. Almeno fino alla coda, dove un'improvvisa impennata psichedelica ci lascia sorpresi, quasi storditi di fronte ad un tripudio di chitarre, cori e fiati western. Un'ottima chiusura.
L'esordio solista di Noel Gallagher non piacerà a tutti. Gli echi dell'ingombrante passato ci sono eccome, praticamente in ogni canzone. Non si possono però non riconoscere le qualità di un compositore pop come lui, in grado di tirare fuori melodie semplici ma affascinanti con questa facilità. Dopo la fine del suo gruppo, "The Chief" sembra tornato in uno stato di forma che gli mancava da tempo. "Noel Gallagher's High Flying Birds" è l'inizio di una carriera solista che, noi ci scommettiamo, gli regalerà grosse soddisfazioni. Premesso che queste prime dieci canzoni per ora bastano. E avanzano.


(Giovanni Ansaldo)

TRACKLIST:

“Everybody's on the run”
“Dream on”
“If I had a gun..”
“The death of you and me”
“(I wanna live in a dream in my) Record machine”
“AKA... What a life!”
“Soldier boys and Jesus freaks”
“AKA... Broken arrow”
“(Stranded on) The wrong beach”
“Stop the clocks”

19 ottobre 2011

The Zen Circus - Nati Per Subire: la recensione di SentireAscoltare

Nati Per Subire degli Zen Circus è uscito ieri e ci ha favorevolmente impressionato già ai primi ascolti. Quella che segue è la recensione pubblicata dal sito sentireascoltare.com


L’autentico problema da affrontare per una band reduce da un grande disco è il dopo. Il momento in cui aumentano le responsabilità, in cui rischi di abbracciare spazi più ampi rompendoti le ossa nello sforzo. Oppure di reiterare all’infinito una formula fino alla perdita di smalto e significato. Ci piace affermare con certezza che con Appino, Karim e Ufo ciò non accadrà. Per via di un “successo” costruito con appassionata fatica sui palchi della penisola e non solo, per una modestia pari al talento e alla chiarezza d’idee, per la credibilità di cui gode uno stile (quadrilatero intriso d’autoironia e vetriolo ai cui lati siedono Rino Gaetano, Eugenio Finardi, Pixies e Violent Femmes) destinato a durare e, speriamo, far scuola.
In tal senso funge da prova del nove Nati per subire, secondo album cantato interamente in italiano (disponibile anche in vinile per l'intraprendente Tannen) che i ragazzi spiegano figlio dell’urgenza di Andate Tutti Affanculo. Il che è in sostanza vero, benché gli ascolti tratteggino pian piano un’affilata reazione, un distacco per sottintesi eretto sulla cura di arrangiamenti essenziali e liriche viepiù mature e meno “generazionali”. Pian piano realizzi come nella sensazionale Il paese che sembra una scarpa senso d’insieme e disinvolta potenza esaltino il retrogusto di malinconia; che la circolare title-track direbbe la sua tra i solchi di Little Creatures e idem Ragazzo eroe (eh, quell’eco di Enzo Jannacci… ) in quelli di Hallowed Ground; che L’Amorale plana da Doolittle allo scopo di trainare cinquanta minuti nei quali il linguaggio di cui sopra incontra un sentire adulto, talvolta riflessivo.
Questa altresì la forza della mesta chiusa Cattivo pagatore e dell’elaborato, trascinante capolavoro Il mattino ha l’oro in bocca, del folk e dell’indie anni ’80 cuciti sul cantautorato nostrano in modo naturale (Atto secondo, Franco); del passo scanzonato e divertito di certe tracce (ma che contrasto tra innodico ritornello e parole amare ne I qualunquisti) e dei tanti ospiti funzionali all’insieme. A dispetto di un paio di frecce che centrano il bersaglio di sbieco perché i suoi artefici restano umani, Nati per subire è prezioso e sincero. Di gruppi così, nel Belpaese, ne occorrerebbero almeno una decina.
(7.4/10)

18 ottobre 2011

Le novità del 18 ottobre

Queste sono le novità uscite oggi:     
                                                           
NOEL GALLAGHER
Noel Gallagher's High Flying Birds

Prima uscita discografica dopo lo scioglimento degli Oasis. Noel dimostra che l'anima compositiva del gruppo era lui e produce un bell'album di brit pop/rock decisamente superiore alle ultime prove della vecchia band.
 

ENRICO RAVA QUINTET
Tribe

Con Gianluca Petrella, Giovanni Guidi, Gabriele Evangelista, Fabrizio Sferra e Giacomo Ancillotto. Rava non delude: Tribe è un disco di grandissima classe.



COLONNA SONORA ORIGINALE
This Must Be The Place

Colonna sonora del nuovo film di Paolo Sorrentino con brani di Iggy Pop, David Byrne, Jonsi dei Sigur Ros, Gavin Friday e molti altri.
 


POPA CHUBBY
Back To New York City

Dopo alcun album non proprio a fuoco, Popa Chubby torna con questo nuovo lavoro ai livelli dei primi album. Back To New York City è un grandissimo blues album dove, tra tante canzoni di qualità, spicca una bellissima covewr di The Future di Leonard Cohen.


THE ZEN CIRCUS
Nati Per Subire


Tornano dopo due anni gli Zen Circus. Nati Per Subire conferma il gruppo pisano come uno dei più interessanti della scena alternativa italiana. Tra gli ospiti: Dente, Giorgio Canali e i Ministri.



DUM DUM GIRLS
Only In Dreams

Band californiana tutta al femminile a metà strada tra il surf pop e la neopsichedelia dei Mazzy Star.
   






 

15 ottobre 2011

Dente - Io Tra di Noi: la recensione de Il Mucchio

Vi proponiamo la recensione di "Io Tra di Noi" di Dente, pubblicata sul numero 687 del mensile musicale Il Mucchio. 

Dente

Dente
IO TRA DI NOI
Ghost/Venus

Sornione, il nuovo album di Dente completa il parterre 2011 degli autori non allineati della musica italiana: assieme a Brunori SAS e a Le Luci della Centrale Elettrica, il musicista di Fidenza rappresenta un modo diverso di pensare, scrivere, suonare. Pensare, soprattutto: per chi ancora non lo conosceva, quando nel 2009 uscì L’amore non è bello ci fu un po’ di straniamento, anche nei circuiti più - bleah - indie. Inevitabile uno sbilanciamento ottimistico, a cui Io tra di noi, che Dente stesso lo voglia o no, finisce per dare un assestamento più significativo. Fra le maglie delle nuove canzoni ci potevano essere pose,manierismi, atteggiamenti prevedibili, insomma, un
appannamento mascherato da rassicurante continuità. Invece,
anche se non cambiano le rime un po’ depressive, le piccole cose di incertissimo gusto, l’ironia spesso macabra, la follia appena accennata, il disco scorre con una profonda e carsica intensità. Non sfuma, insomma, pure in virtù di una produzione senza sbavature: il suono si ispessisce quando serve, e solo quando serve. La sottrazione, evidente fin dai primi accordi di Due volte niente, non evita calembour verbali, un pezzo discoteque che stupisce e deborda con grazia, arrangiamenti stringatima ben strutturati. Tutto è all’inverso, per citare un frammento di La settimana enigmatica: dove ci si aspetterebbero
carezze arrivano schiaffi e un soffice malessere, che invade
l’animo e fa arrivare alla fine dell’ascolto con un po’ di sensata
amarezza. Figlio più dei Belle And Sebastian che dei vari depressi degli anni Settanta nostrani, Dente canta amore e bellezza al contrario, con romanticismo e disincanto che non fanno sconti nell’uso delle parole: armi terribili, in quanto fraintenderle è semplicissimo.
Solo un po’ di ambiguità, qualche ricordo di Lucio, che non guasta, e nessuna altra gita di gruppo: se è vero che il parterre di cui sopra esiste, è altrettanto vero che ognuno dei tre soggetti menzionati balla da solo. E va decisamente a ritmo.

John Vignola / * * *

14 ottobre 2011

Mogwai - Earth Division Ep: la recensione di Ondarock

Questa è la recensione di Earth Division Ep dei Mogwai, pubblicata dal sito ondarock.it:
  

MOGWAI

Earth Division Ep
(Rock Action) 2011



Ormai (ingiustamente) confinati ai margini dell'attenzione più smaniosa della scena rock alternativa, i Mogwai continuano imperterriti a sfornare musica di gran classe, incuranti di qualsiasi moda e dell'inevitabile processo per cui una band con oltre dieci anni di onorata carriera alle spalle finisce per essere seguita quasi esclusivamente dai suoi appassionati. Sarà una coincidenza, ma, proprio in parallelo con questo processo quanto mai discutibile, la band scozzese sembra aver ritrovato negli ultimi anni smalto e voglia di spiazzare.
È stato questo il caso del magnifico brano da venti minuti contenuto nel bonus-cd dell'edizione limitata dell'ultimo "Hardcore Will Never Die, But You Will" ed è pure quello del breve Ep che segue di poco quell'album, dagli stessi componenti della band annunciato come sorprendente.

Così è, infatti, visto che "Earth Division" risponde chiaramente all'intento della band di presentare brani del tutto eterogenei, accomunati soltanto dal minimo denominatore del romanticismo di arrangiamenti d'archi che, uniti ad atmosfere al tempo stesso tese e ovattate, fanno pensare che le quattro composizioni dell'Ep possano costituire i bozzetti di un'ipotetica colonna sonora.

A parte ciò, il camaleontismo stilistico dei Mogwai compendia in poco più di un quarto d'ora di durata tutte le caratteristiche tipiche del loro suono passato, affiancandole ad altre decisamente sorprendenti: ad esempio, chi avrebbe mai detto di poter ascoltare gli alfieri del post-rock britannico impegnati in un'ovattata ballad acustica come la splendida "Hound Of Winter"?

Se "Hound Of Winter", oltre che per l'inusuale veste sonora, spicca per la presenza del cantato e per la vaporosa fluidità delle melodie, i brani d'apertura e chiusura dell'Ep rientrano maggiormente nell'alveo di quanto rappresentato finora dai Mogwai, presentando uno schema speculare, interpretato da oblique note di pianoforte in "Get To France" e da morbide iterazioni chitarristiche in "Does This Always Happen?", entrambe avvinte dalla presenza degli archi in un'atmosfera sospesa e vagamente spettrale.

Completa il quadro "Drunk And Crazy", da considerarsi il brano più "sperimentale" del lotto, col suo andamento - appunto - ubriaco e schizoide, tra torsioni abrasive iniziali, intermezzo romantico e crescendo maestoso, il tutto percorso da febbrili sciabordii sintetici.

Insomma, "Earth Division" altro non è che una manciata di canzoni a suo modo disorientante, del tutto coerente con le intenzioni della band scozzese, che sotto la forma di un apparente
divertissement consegna alla sua discografia un altro Ep di altissima levatura e - azzardare la previsione è lecito - potenzialmente significativo per il prosieguo della sua attività. I tempi del fulminante "Stanley Kubrick Ep" sono lontani, ma la classe dei Mogwai non ha fatto altro che distillarsi col passare del tempo; e se nel frattempo l'attenzione dei più si è spostata su altri bersagli, vorrà dire che un gioiellino come "Earth Division" resterà appannaggio dei soli che badano alle sensazioni delle proprie orecchie ben più che alle esaltazioni di speculazioni astratte e fenomeni passeggeri.