28 maggio 2012

WILLIE NELSON "HEROES"

WILLIE NELSON
"HEROES"
E' vero che non è un ragazzino di primo pelo, è vero che da artisti di questa età non ci si può aspettare rivoluzioni, ma quando si pubblicano dischi di questa bellezza non parlarne sarebbe stupido.
Quindi vi sottoponiamo la recensione che del disco ha fatto Enzo Curelli sul suo blog.





"Willie Nelson è un americano vero.Uno dei più grandi artisti del mondo. Ha scritto alcune delle migliori canzoni di sempre, classici che canta con la sua inconfondibile voce soul, originale ed unica." Kris Kristofferson.

Grazie a icone viventi e (ancora) super attive come Willie Nelson, le più antiche radici della musica americana continuano a sopravvivere e attecchiscono sulle nuove generazioni. La  fenomenale esplosione dell'alt-country avvenuta in questi ultimi anni ne è testimonianza viva e pulsante. La voglia di riscoprire le proprie tradizioni, forse un pò per moda, forse, mi auspico, alla ricerca di un patriottismo che questi anni spingono a recuperare e preservare. I vecchi lo fanno da tempo, i giovani iniziano ora. Bene.

Willie Nelson festeggia le settantanove candeline e il ritorno alla vecchia Columbia (ora Legacy Sony music) con un album, a pochi mesi dal precedemte Remember Me Vol.1, che sa ripercorrere a bordo di una macchina temporale sempre elegante, lucida, calda e raffinata, come d'abitudine, il passato, il presente e un po' di futuro. Come quei forti Whiskey invecchiati, da sorseggiare senza fretta, gustandone il gusto e il calore che si espande nel corpo, come la sua voce inconfondibile che il tempo non sembra proprio considerarlo. A testimonianza, la sua interminabile discografia e una prolificità su disco e live ineusauribile. Se cercate il caldo rassicurante della vostra casa e del fedele liquore preferito: questo disco ve lo promette, con qualche piacevole sorpresina.
Sulla scia delle American Recordings dell'amico Cash, Heroes mette in fila quattordici canzoni tra vecchi traditionals pre-1950, degli anni trenta e quaranta, nuove composizioni firmate con il figlio Lukas Nelson, ospite fisso  nei duetti insieme a tanti altri artisti, e curiose e ben riuscite cover di gruppi delle ultime generazioni (dai già "veterani" Pearl Jam, agli impensabili Coldplay). Senza dimenticare che Nelson, ai nuovi musicisti, ha sempre dato fiducia e stima, ottenendo eguali feedback, non ultimo, il bel disco Songbird con Ryan Adams e che le contaminazioni musicali non gli hanno fatto mai paura, a scapito dei mugugni dei tradizionalisti della country music.
Le sfumature che Nelson ha portato al genere country (omaggiato recentemente nel disco dal titolo esplicito Country Music) sono tutte presenti: tra le eleganti note jazzate di Cold War With You ( datata 1949), in compagnia di Ray Price, ottantasei anni sul groppone e il merito di lanciare, a suo tempo, l'allora giovanissimo Nelson, del brioso jazz di Home in San Antone (1943) e My Window Faces the South(1937) sempre con Lukas, vicine al bel connubio con Wynton Marsalis di pochi anni fa; il country più tradizionale e crepuscolare di A Horse Called Music insieme al vecchio compagno di suonate Merle Haggard, la piacevole e nuova Every Time He Drinks He Thinks Of Her scritta dal figlio; lenti valzer country come That's All There is To This Song, Hero con Billy Joe Shaver, e Come On Back Jesus , intinta di gospel spirituale e famigliare con la presenza contemporanea dei due figli Lukas e Micah Nelson; alla rockeggiante ballad The Sound of Your money , trascinanti up-tempo- honk tonk come Roll Me Up (stesso nome della band che lo accompagna) in compagnia di Kris Kristofferson, Jamey Johnson e l'inusuale e azzardata presenza (comunque non fa danni) di Snoop Dogg, già sperimentata qualche anno fa in un precedente disco. A Nelson è sempre piaciuto rischiare: vi ricordate il duetto To all the Girls I've Loved Before con Julio Iglesias negli anni ottanta? 
Fino ad arrivare a tempi più recenti con il lento incedere Soul/Blues, puntellato dall'organo di Come On Up To The House a firma Tom Waits con Sheryl Crowe a duettare. A sorprendere, perchè così lontane-a prima vista- dalll'universo di Nelson, sono Just Breathe, ballad dei Pearl Jam , inserita nel loro ultimo (ad oggi) disco in studio Back Spacer(2009) e la bellissima The Scientist dei Coldplay, registrata per buone cause benefiche, così spoglia e tirata a nuovo, facendola completamente sua e che, certamente, divverrà un suo nuovo classico.
Heroes è un disco vario (come tanti incisi da Nelson) che unisce il piacere, a volte imprevedibile, del viaggio -sempre On the road again- compresa qualche piacevole e nuova deviazione, al rifugio e calore rassicurante e affidabile che solamente vecchi eroi come lui riescono ancora ad infondere. Nulla di nuovo sotto il sole del Texas che però continua a splendere radioso. Non è poco.

27 maggio 2012

SIGUR ROS "VALTARI"

SIGUR ROS
"VALTARI"
Ecco la recensione del sito
"Impatto sonoro"
di uno dei dischi più attesi.



art/post/rock

Tracklist

    1. Ég Anda
    2. Ekki Múkk
    3. Varúð
    4. Rembihnútur
    5. Dauðalogn
    6. Varðeldur
    7.Valtari
    8. Fjögur píanó

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Probabilmente scrivere una recensione su un album dei Sigur Rós è molto più difficile di quanto si creda. In quell’oretta scarsa di riflessioni sulle sonorità, sui fraseggi e sui pro da sottolineare e i contro da rimproverare, si viene frequentemente distratti: ma non è l’aspirapolvere della mamma, maniaca delle pulizie, non è il rumore del trapano di qualche improvvisato falegname a distogliere l’attenzione da ciò che si sta analizzando. E’ la musica dei Sigur Rós che non permette di arrivare con sguardo obiettivo e critico fino in fondo, se non abbandonando le capacità cognitive da qualche parte.
“Valtari” è la sesta perla della band di Reykjavík, un album che, nonostante le distanze cronologiche da quello d’esordio, mantiene aperto il loro continuum musicale.
L’album si apre con “Ég anda: questo pezzo è il polmone dell’album. Una canzone pomposa e vellutata che, da quanto si apprende dal suo insolito videoclip, tesse un elogio al respiro, più generalmente alla vita.
Segue a ruota “Ekki múkk”, lenta girandola di accordi che oscillano tra l’etere e l’onirico. Poesia acustica.
Un’apertura stellare per i Sigur Rós, che procedono nel loro piccolo, grande mondo con una traccia che potrebbe benissimo far parte della colonna sonora de Il Signore degli Anelli: “Varúð” è straordinaria.
E’ incredibile quanto “Rembihnútur” ricordi suoni tipicamente “Takkiani”, nella fattispecie le arie degli archi di “Glòsoli”.
Torna sovrana la voce di Jònsi, con “Dauðalogn”, emozionante e spezza fiato, che va subito a morire in “Varðeldur”, nuova versione di “Lúppulagið”. Chiudono l’album la titletrack, “Valtari”, il pezzo più lungo dell’album, labirintico e sovrannaturale e “Fjögur píanó”, che cala il sipario tra agili ma intensi giri di pianoforte.

“Valtari” è un album straordinario, tra le cui trame si nascondono novità musicali, pronte a far capolino solo se strettamente necessario. L’equilibrio è la chiave di quest’ultima fatica dei Sigur Rós, un equilibrio tra vecchio e nuovo (Varðeldur ne è testimonianza), estremamente complicato da stabilire per i canoni dettati dal genere.
E’ consigliato l’ascolto al buio.

26 maggio 2012

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23 maggio 2012

SLASH APOCALYPTIC LOVE

SLASH
APOCALYPTIC LOVE
Eccovi la recensione pubblicata da rockol.it del nuovo album dell'ex chitarrista dei Guns.
 


Sono stati due anni praticamente perfetti per Slash, dalla pubblicazione, nel 2010, del disco eponimo con ospiti prestigiosi alla voce, a questo album.
In mezzo c’è la solidificazione del sodalizio con Myles Kennedy (Alter Bridge), la mancata reunion dei Guns N’ Roses per la Hall Of Fame, da cui il chitarrista è uscito con dignità - lo stesso non si può dire di Axl Rose, ma non è una novità. In tutto questo, la costante è stata che Slash si è ripreso quel ruolo e quella credibilità che erano scemate negli anni precedenti. Perché quando le band si sciolgono o si rompono, i chitarristi hanno la peggio, per cause di forza maggiore, anche quando si tratta di personaggi emblematici - nel suono e nel look - come Slash.
Invece il chitarrista, dopo tentativi più o meno riusciti (dagli Snakepit ai Velvet Revolver, dominati da un altro ego ipertrofico ed ingestibile come quello di Scott Weiland) ha trovato la sua strada migliore dallo scioglimento dei Guns, riappropriandosi del repertorio storico dal vivo (cantato dignitosamente da Kennedy) e proponendo nuova musica di ottimo livello.
“Apocalyptic love” è accreditato a Slash, ma anche a Myles Kennedy & The Conspirators: fossimo in un’aula universitaria, si potrebbe fare un’analisi semiotica della copertina di questo album, della collocazione e dei pesi dei singoli nomi. Ma è chiaro: questo è un disco di Slash, in tutto e per tutto.
Lo si capisce fin dalle prime note: “Apocalyptic love” è un disco di rock duro senza tempo, dominato dai riff e dagli assoli di Slash: solo fare una compilation dei primi 10” di ogni canzone significa ascoltare una grande piccola lezione di stile, che si tratti della title-track o di “You’re a lie”, o dell’intro più dilatata di “No more heroes” (che ricorda un po’ “Sweet child o’ mine”, nel riff). Le canzoni poi proseguono bene, perché Kennedy, che ha scritto anche i testi del disco, fa egregiamente il suo mestiere. E anche questa non è una novità.
“Apocalyptic love” è il disco più album della carriera post-G N’ R di Slash: quel che perde nell’assenza delle voci di Chris Cornell o di Ozzy (ospiti d’onore del lavoro precedente), lo guadagna in omogeneità e compattezza. Certo, non è un disco innovativo, ma non pretende neanche di esserlo: canzoni come “Anastasia” potrebbero arrivare dagli anni ’80 e dagli anni ’90. Per qualcuno sarà un problema, per molti no.
Poi, se questo progetto andrà avanti... Beh, quella è un’altra storia: Kennedy ha la sua band, ci tornerà. Slash, forse tornerà ad essere “solo” un chitarrista. Ma non è detto: Slash è scritto in grande sulla copertina, Kennedy più in piccolo - i ruoli sono chiari insomma - ma l’alchimia funziona. Se vi piace il genere, è meglio un po’ di amore apocalittico che una democrazia cinese.