Vi proponiamo la recensione pubblicata dal sito rockol.it di El Camino, il nuovo album dei Black Keys.
Black Keys
EL CAMINO
Nonesuch (CD)
"Il blues è facile da suonare, ma difficile da sentire" diceva un certo Jimi Hendrix. E' come una malattia, ci sentiamo di aggiungere. Più cerchi di scrollartelo di dosso, più te lo ritrovi appiccicato. Un problema che hanno Dan Auerbach e Patrick Carney, duo di Akron ai più noto come Black Keys. E pensare che stavolta ce l'hanno messa tutta per liberarsene, pubblicando un disco tirato e veloce come questo "El Camino". Un album dallo spirito garage che va alla stessa velocità del furgoncino che si vede in copertina e si presenta con questo curioso titolo spagnolo. Per comunicare in modo esplicito che queste nuove canzoni sono nate sulla "strada", cioè durante il lungo tour che ha accompagnato l'uscita del precedente lavoro "Brothers".
L'ultima fatica del gruppo, due che a vederli sembrerebbero tutto fuorché rockstar, è prodotta anche stavolta da Danger Mouse e pesca a piene mani del cuore musicale della cara e vecchia America. Come detto però, Dan e Patrick hanno provato a sparigliare le carte: dopo le incursioni nel soul e nel funk del capitolo precedente, stavolta si sono dati al rock'n'roll veloce e "easy listening". Anche i testi sono meno sofferti rispetto al passato e fanno quasi da contorno alla musica.
Il manifesto sonoro di "El Camino" è messo all'inizio, per togliere ogni dubbio all'ascoltatore. Si chiama "Lonely Boy", scelto anche come singolo apripista, ed è una cavalcata che puzza d'asfalto, a metà strada tra Chuck Berry e gli ZZ Top. Se non l'avete ancora visto, vi consigliamo di dare un occhio anche allo spassoso video che la accompagna.
Un inizio con il piede sull'acceleratore. Si procede con "Dead and gone", che non risparmia accenni pop in stile Motown, mentre "Gold on the ceiling" è un pezzo che piacerebbe ai Black Crowes con un bel ritornello ricco di cori. Appena possono però Dan e Patrick si fermano alla prima stazione di servizio per riprendere fiato. Così ecco "Little black submarines", che inizia acustica e soffice citando addirittura "Stairway to heaven" prima di aprirsi in una bella cavalcata garage. Di solito i Black Keys non vanno mai in cerca del "pezzone", ma stavolta fanno un'eccezione. E il risultato è ottimo, il brano sa di già sentito ma funziona.
La sosta è breve, "El Camino" riparte quasi subito con "Money maker", che sfoggia chitarre alla Zeppelin. Oppure con il funk sincopato di "Sister", uno dei pezzi migliori e in cui si sente il tocco dell'ormai terzo membro del gruppo, Danger Mouse. Canzoni del genere sono una manna per la voce di Dan Auerbach, un bianco che a volte sfodera una voce un po' black.
I Black Keys, come accennato, sono inguaribilmente nostalgici e americani. E prendetelo come un complimento. Per capirlo ascoltate "Stop stop", un numero soul di classe con un bel fraseggio di slide guitar. Peccato solo per un paio di riempitivi come "Hell of a season" e "Nova baby". Per fortuna c'è il finale di "Mind eraser" a chiudere il cerchio: il verso tormentone "Don't let it be over" rimane in testa che è un piacere.
Il punto è proprio questo: come scritto all'inizio, se il blues ce l'hai dentro è difficile perderlo. Non lo suoni, lo senti. E questa è la forza dei Black Keys e di "El Camino". Stiamo parlando di un lavoro veloce e in diversi momenti perfino "pop" - concedeteci il termine - ma che riesce a non perdere quella sofferenza di fondo, quel suono sporco che da sempre ha accompagnato Dan Auerbach e Patrick Carney. Nostalgici, antidivi e arciamericani per eccellenza. Ma soprattutto bravi.
(Giovanni Ansaldo)
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