CHRIS ROBINSON E' UN GRANDISSIMO MUSICISTA. TUTTI LO CONOSCIAMO PER I SUOI SPLENDIDI ALBUM CON I BLACK CROWES.
POI POCHI MESI INDIETRO HA PUBBLICATO, CON I SUOI "BROTHERHOOD" (tra i quali spicca la grande chitarra di Neil Casal), UNO SPLENDIDO ALBUM, "BIG MOON RITUAL", CHE SI DISTANZIA DALLE SONORITA' DEI CROWES, SCEGLIENDO UN APPROCCIO PIU' PSICHEDELICO, A META' STRADA TRA I GRATEFUL DEAD E GLI ALLMAN BROTHERS.
E ORA, A DISTANZA DI POCHI MESI, ECCO QUI UN'ALTRA GEMMA, UN ALTRO CD CON PEZZI CHE VENGONO DALLE STESSE REGISTRAZIONI E CHE PROSEGUONO IL CAMMINO TRACCIATO CON L'ALBUM PRECEDENTE.
IN QUESTO NUOVO "THE MAGIC DOOR" RITROVIAMO LO STESSO GRUPPO E LO STESSO SUONO, UN PO' MENO SOGNANTE E PIU' TERRENO, CON LUNGHI BRANI E ANCHE BELLISSIME JAM STRUMENTALI.
UN SECONDO CENTRO PERFETTO DOPO QUELLO DELL'ALTRO DISCO, A CONFERMARE LA BRAVURA DI QUESTO ARTISTA CHE SE NE FREGA DELLE MODE, DELLE NECESSITA' COMMERCIALI E TIRA DRITTO PER LA SUA STRADA.
QUI DI SEGUITO LA BELLA RECENSIONE DELL'ALBUM DAL BLOG DI ENZO CURELLI.
CHRIS ROBINSON BROTHERHOOD The Magic Door ( Silver Arrow, 2012)
Nemmeno il tempo di assimilare la prima parte del progetto Chris Robinson Brotherhood, che si apre a noi la seconda porta, ancora una volta, apparentemente magica. The Magic Door, appunto. E titolo non fu mai così centrato.
Se il precedente Big Moon Ritual
viaggiava alto da terra, lungo lo spazio siderale e psichedelico,
muovendo la verde erba dei campi sottostanti con la forza dei
venti, questo secondo capitolo si sporca anche di terra e polvere,
diventando in alcuni punti più diretto e terreno. Giustificando così, la
voluta e netta distinzione tra i due lavori, nonostante tutte le
canzoni arrivino da un'unica session di registrazione avvenuta al Sunset
Sound di Los Angeles, sotto la produzione di Thom Monahan, e riuscendo ad aggiungere-magicamente-
una nuova sfumatura a tutte quelle che il precedente lavoro aveva già
fatto risaltare. Qui, le 7 canzoni vivono vita propria, differenziandosi
dal mood continuo che sembrava legare quelle presenti nella prima parte
dell'opera. Due dischi legati ma in qualche modo differenti.
Bastino le due iniziali Let's Go Let's Go Let's Go e Someday Past The Sunset a confermare lo sbarco momentaneo sulla terra di questa nuova creatura di Chris Robinson. La prima è un vecchio successo del 1960 di Hank Ballard & The Midnighters,
tra i primi precursori del rock'n'roll americano e spesso fondamentale
ma dimenticato protagonista dei primi passi del rock. Un southern boogie
blues trascinante dove Robinson sembra ritirare fuori gli artigli dopo
le carezze di Big Moon Ritual così come in Someday Past The Sunset, un oscuro blues dall'incedere quasi doorsiano e l'ombra di Johnny Cash a fare buio, il tutto trascinato dalla sezione ritmica guidata da Mark Dutton (basso) e George Sluppick (batteria) e con la chitarra splendida di Neil Casal che si riconferma in grande vena creativa e punto di forza di tutto il progetto.
Little Lizzie Mae
ha il passo rockabilly. Un aperto e
sentito omaggio alla stagione più fertile del rock'n'roll, sempre alla
loro maniera e con le tastiere di MacDougall, un
piccolo mago dei tasti, pronte ad inserirsi e tappare ogni
silenzio. Impossibile non notare alcuni riferimenti ai grandi del rock
tra cui l' omaggio alla famosa rullata iniziale di Bonzo Bohman in Rock and roll.
Ci sono poi il country cosmico della finale Wheel don't Roll ,
altro esempio di quanto la band miri sempre più ad occupare il vuoto
lasciato dai Grateful Dead più ispirati degli anni settanta, e la
ripresa di Appaloosa, country/folk song che brillava in modo acustico nell'ultimo album Before the Frost...Until the Freeze dei
Black Crowes e qui trasformata con l'inserimento delle tastiere, senza
perdere la sua limpida bellezza descrittiva. Grandi spazi, sogni e
pace. Niente da chiedere in più.
Non mancano comunque canzoni che si riallacciano al primo lavoro. E' il caso del vero masterpiece Vibration & Light Suite, quattordici
minuti di puro viaggio fisico-mentale in galassie sconosciute. L'inizio
quasi soul/funkeggiante che si trasforma in un trascinante
space/progressive con le tastiere di Adam MacDougall e la chitarra di Neal Casal vere protagoniste, fino a giungere allla liquida pace
dei sensi finale. Veramente cose d'altri tempi e ispirazione creativa a
mille, con largo spazio alla improvvisazione, come se tutto uscisse da
un palco montato dentro alla vostra più fervida fantasia musicale,
occupata e popolata- ancora -dai grandi festival, dalle grandi
jam band e da quella grande voglia di libertà che animava il più
ispirato, prolifico periodo della musica rock. Stupenda la lenta Sorrow of a Blue Eyed Liar, otto minuti di sogno etereo con Robinson ispiratissimo alla voce.
Ancora una volta non si butta via nulla. Un disco, come il precedente,
figlio della incessante attività live del gruppo, qui catturata
splendidamente da Thom Monaham. Due dischi, che uniti, riescono a dare
l'idea di quanto la musica riesca ancora ad essere viva e vitale,
fantasiosa, suonata con passione, anche lontano da circoloi esclusivi e
canali di lancio preferenziali, e avendo una destinazione ignota e a
lunga scadenza. "Guardo alla musica come una conversazione e Neal (Casal) è un diffusore molto eloquente alla chitarra. Io sto solo cercando di mantenere la conversazione interessante" dice Chris Robinson.
Uno spot per la musica che meriterebbe ben altre ribalte. Ma qui, Chris Robinson mi sgriderebbe, perchè la confraternita è, giustamente, cosa per pochi eletti. Suonate il campanello prima di oltrepassare la porta magica, potreste essere ospiti sgraditi.