16 novembre 2011

Lou Reed & Metallica - Lulu: la recensione di Jam

Quella che segue è la recensione di Lulu, pubblicata dal mensile musicale Jam.

LOU REED & METALLICA 
LULU (MERCURY / UNIVERSAL)

di Claudio Todesco




È una frase dello Spirito della terra, una delle due «tragedie mostruose» dedicate a Lulu. La pronuncia nel primo atto il Dottor Schön, mentore, amante e protettore della donna. Lulu si veste da Pierrot per essere ritratta da un pittore. Indossa il costume e domanda: «Le piaccio?». Schön, scosso, risponde che è «una visione che spinge l'arte alla disperazione».
Che magnifica definizione. Mi è venuta in mente ascoltando i 90 minuti di Lulu, il monolito rock che Lou Reed e i Metallica dedicano alla creatura del commediografo tedesco Frank Wedekind, la donna simbolo dell'amoralità che travolge la rettitudine borghese. Ecco, Lulu è arte spinta alla disperazione. Più prosaicamente, è un doppio album di rock informe basato sul potere brutale della parola. È un incontro fra artisti apparentemente lontani, un esercizio d'improvvisazione, una dichiarazione di fiducia nel potere espressivo del rock da parte di un sessantanovenne che non ha intenzione di vestire il ruolo rassicurante di icona del passato. Ha cose da dire, e questa volta le dice a un volume assordante.
Ma come ci siamo arrivati? Com'è che Lulu è passata dalle braccia di Alban Berg a quelle di Lou Reed? Da un compositore colto a un rocker di strada? Da una prosa asciutta al delirio erotico? Com'è che l'eroina di un commediografo espressionista d'inizio Novecento viene stuprata dai Metallica e lasciata morente ai piedi di un letto, coperta dai residui metallici dei loro riff? La colpa o il merito, è di Lou Reed. Questo disco è soprattutto suo, e si stente. Ha composto il ciclo di canzoni per lo spettacolo di Robert Wilson messo in scena a Berlino in aprile dal Berliner Ensemble. Ha ripensato la psicologia dei personaggi di Wedekind con l'aiuto di Laurie Anderson, ha scritto i testi e li ha incisi su una base di chitarra, archi ed elettronica registrata con Sarth Calhoun. Ha proposto il lavoro ai Metallica nella convinzione che il rock, anche quello più duro, può avere dignità letteraria. Ha ragione: Lulu è un'opera di una bellezza terribile e viscerale, eppure sensibile e poetica. È un disco di sangue e sperma, di sessi turgidi e coltelli, di pensieri indicibili e di autolesionismo. Evoca visioni di violenza e frustrazione. Fa a pezzi l'idea romantica dell'amore. Canta il desiderio che annichilisce e riduce ad animali in cerca di soddisfazione. Indaga il confine fra sesso e morte: esiste un territorio migliore nel quale potevano incontrarsi l'uomo di The Raven e i cantori della «morte magnetica»?
Lulu va ascoltato leggendo i testi, non c'è altro modo per coglierne fascino e significato. Il linguaggio è brutale e lontano da quello asciutto di Wedekind, la prosa è adeguata alla nostra assuefazione alla violenza e al sesso. Reed rinuncia a costruire il ciclo di canzoni ricalcando la trama delle due tragedie. Preferisce calarsi nella mente di alcuni personaggi e lascia che siano essi stessi a illustrare la propria psicologia elementare, portando la forza propulsiva del desiderio sessuale a livelli parossistici. Spesso Reed recita o declama, non intona melodie. I musicisti non si curano di costruire tutte le volte strutture basate sull'alternanza di strofa, ritornello e ponte. E alcune canzoni procedono come un flusso di coscienza per lunghi, interminabili minuti. Ci sono poche canzoni "classiche" come Iced Honey, che è un po' la Sweet Jane di Lulu. Le musiche vanno ascoltate godendosi il momento, come lo chiama James Hetfield, ovvero l'eccitazione derivante dall'istantaneità del pensiero musicale giacché le tracce sono state ideate e incise velocemente, per lo meno per gli standard dei Metallica e per la loro tendenza ad analizzare ogni dettaglio. A volte si ha l'impressione che l'accompagnamento sia improvvisato. Di certo la musica non è mai decorativa: partecipa al massacro di Lulu con un entusiasmo brutale in pezzi che si espandono raggiungendo i 7, 8, 11, 19 minuti. I californiani fanno un grande lavoro quando si tratta di materializzare la carica predatrice dei maschi che girano attorno a Lulu, apparentemente vittime, in definitiva carnefici della donna. Danno volume ai pensieri peggiori, offrono sostanza sonora alla forza distruttrice dell'erotismo.
C'è un passaggio favoloso in cui emerge il culto per il momento sul quale è costruito il disco. Succede durante l'impressionante Pumping Blood. Descrive l'epilogo della storia, pur essendo solo il terzo brano dell'album: Jack lo Squartatore vendica i maschi della tragedia e ammazza Lulu. Un riff brutale spazza la scena, mentre in sottofondo una chitarra innalza un lamento distorto. La musica cessa e Reed si mette a recitare. Mentre la ritmica riprende a incalzare, Lou sollecita il nuovo amico: «C'mon, James!». Da quel momento la musica è liberata e incarna con sadismo ed energia «la confusione maniacale dell'amore» e la «violazione suprema» che esso implica, ovvero la morte. È il suono dell'urlo estremo di Lulu. La scena descritta da Lou Reed ovviamente non c'era nel testo di Wedekind: la donna implora «Jack, ti prego» e al contempo promette di «ingoiare la tua lama più affilata come se fosse il cazzo di un nero». Mentre il sangue invade la casa, Jack o forse Reed osserva che «alla fine era un cuore come gli altri». Non c'è nemmeno il tempo di riprendersi che i Metallica fanno partire il loro pezzo thrash più veloce degli ultimi vent'anni. Si chiama Mistress Dread e ha tutta l'aria del momento in cui la Contessa Geschwitz si umilia per amore di Lulu. La musica è implacabile, è lo scenario emotivo tumultuoso del desiderio della donna. «Vorrei che mi legassi e mi picchiassi», «Cacciami fra i denti un bavaglio insanguinato. Ti prego di degradarmi», «Apri le mie lunghe gambe e mettici dentro un pugno, un braccio, una qualche appendice. Ti prego, aprimi», perché solo la morte dà pace a un desiderio capace di portare alla pazzia. Ma Loutallica non è solo potenza e cattiveria. Alcune canzoni sono costruite in crescendo a partire da frasi semplici che vanno via via ad arricchirsi di colori. E quando si tratta di materializzare in The View l'amoralità di Lulu, la forza sessuale annientatrice messa di fronte alla morale borghese di chi la desidera, i Metallica scelgono un riff pesante che sembra modellato su quelli dei Black Sabbath. Lulu è «la verità, la bellezza che ti spinge a oltrepassare i limiti sacri». È spietata: «Voglio vedere il tuo suicidio, voglio vederti rinunciare alla tua vita guidata dal raziocinio». I suoi amanti sono «oggetti monouso con cui scopare» (Dragon). Lulu non conosce amore: «Non ho veri sentimenti nell'anima, dove gli altri hanno la passione, io ho un vuoto», ammette in Cheat On Me, 11 minuti che si sviluppano a partire da bordoni elettronici. Sì, perché non ci sono solo Lou e i Metallica, le canzoni sono adornate dai suoni contemporanei degli archi arrangiati da Jenny Scheinman, dal basso di Rob Wasserman, dalle manipolazioni elettroniche di Calhoun e dal Continuum di Reed, una sorta di pad elettronico che crea passaggi stranianti fra le note. La produzione è curata con Hal Willner (lo spirito artistico del progetto) e Greg Fidelman (il fonico del quartetto). Il risultato è talmente vivido da far passare in secondo piano il fatto che Lou Reed canta a volte in modo sciatto (Brandenburg Gate). Queste incisioni denunciano il deterioramento del suo stile, il timbro invecchiato, il celebre colore della voce diventato torbido. Però quando il rocker canta in modo più controllato, il suo leggendario eloquio è tagliente come una lama.
Si finisce tra le spire di Junior Dad, 20 minuti avulsi dal concept ma ad esso legati per il tema: un figlio veglia il padre sul letto di morte. Il rocker la suonava dal vivo un paio d'anni fa con Anderson, Calhoun e John Zorn. Era una cacofonia di bordoni elettronici, suoni stridenti di sassofono e violino, dissonanze e voci spettrali. Ora è una canzone basata su una semplice frase di chitarra e su un'interpretazione vocale toccante su questo padre che «l'età ha avvizzito e cambiato», con una lunghissima coda strumentale per archi ed elettronica. Nonostante il tema, suona come un momento pieno di grazia, specie dopo essere passati attraverso tanta violenza. Alla fine della registrazione Kirk Hammett, che aveva perso il padre da poche settimane, è corso fuori dalla sala prove, con le lacrime agli occhi. Dopo pochi istanti è comparso James Hetfield, con gli occhi lucidi. Solo un bastardo come Lou Reed poteva far piangere i Metallica.

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