27 marzo 2012

ROCKOL INTERVISTA PAUL WELLER

Rilanciamo la bella intervista rilasciata da Paul Weller al sito rockol.it in occasione dell'uscita del suo ultimo album Sonik Kicks. Vi consigliamo di leggerla fino in fondo, è davvero molto interessante.   

 26 mar 2012 - Doppiopetto, cravatta, pochette nel taschino. A Milano, e sul palco della Roundhouse di Londra, Paul Weller si presenta vestito di tutto punto come sulla copertina di "Sonik kicks", il nuovo album che esce nei negozi italiani oggi, 26 marzo. E' l'occasione e lo spunto per una lunga chiacchierata faccia a faccia  in cui il "Modfather" racconta molto del disco ma anche di sé, del suo nuovo stile di vita, della sua scarsa nostalgia per il passato, di amori musicali passati e recenti...


 




Il tuo nuovo album, "Sonik kicks", sembra in un certo senso complementare al precedente "Wake up the nation". Una sorta di evoluzione, con un'inclinazione ancora più sperimentale.

In un certo senso è così. Ma è anche un disco differente da "Wake up the nation", e non credo ci sia in giro qualcosa che gli somigli. A me sembra unico, diverso. Alle mie orecchie suona come musica del ventunesimo secolo.


"22 dreams", l'album che hai pubblicato nel 2008, sembra avere segnato un punto di svolta nella tua carriera. Il momento in cui forse hai cominciato a pensare che potevi prenderti più libertà.


Penso di sì. Per me la cosa importante è evolversi, progredire.  Con i miei ultimi tre dischi ho cercato di comprendere quali altre possibilità ci fossero nell'ambito della mia musica. Ho provato a uscire dal mio recinto per dimostrare - soprattutto a me stesso -  che è possibile fare qualunque cosa, o quasi. In "Sonik kicks", in effetti, mi sembra ci sia più sperimentazione. Ho voluto capire fino a che punto potevo spingermi. E poi c'è il fatto che continuo ad ascoltare generi di musica differenti. Anche questo ha avuto la sua influenza.


C'è una forte componente elettronica. Tu stesso citi i tedeschi Neu! tra le tue fonti di ispirazione...


Sì. Non in tutto l'album, però, diciamo in un paio di canzoni. Soprattutto dal punto di vista ritmico, con quel loro caratteristico beat noto come 'motorik'. Ho cominciato a comprare compilation di musica elettronica dei primordi, cose degli anni Trenta e Quaranta. Musica sperimentale molto antica, Un'altra influenza rintracciabile nel  disco, credo.


Le differenze con gli album precedenti non riguardano soltanto il suono. Si direbbe che tu abbia  cambiato anche il modo di scrivere canzoni.  


Negli ultimi due dischi è stato sicuramente così. Avevo sempre scritto canzoni in modo molto tradizionale, alla chitarra o al pianoforte. Scrivevo un pezzo completo e poi lo portavo alla band perché lo suonasse o al produttore per lavorarlo in studio. Ma lo stampo della canzone era già stato modellato, si trattava eventualmente solo di migliorarla. Stavolta invece non ho composto nulla prima di entrare in studio, ho creato sul posto. E' un modo più spontaneo di lavorare che a volte produce grandi risultati e altre volte non ti porta da nessuna parte. Volevo andare alla scoperta di forme e metodi di scrittura differenti. E' liberatorio, per chi come me scrive canzoni da tanti anni. Sto cercando altri modi per farlo.


In "Sonik kicks" compaiono alcuni 'soliti sospetti': Steve Cradock, Noel Gallagher, Graham Coxon...La cosa strana è che li hai spinti a fare cose diverse dal solito, a suonare strumenti diversi da quelli che usano abitualmente.


E' così. Graham Coxon ha suonato l'organo Hammond e per lui era la prima volta.  In molte canzoni Steve Cradock suona la batteria...Si tratta di vedere che cosa capita se ci si mette a suonare in modo diverso dal solito. A noi musicisti serve per conservare interesse in quel che facciamo.  


Sembra esserci molta meno chitarra che nei dischi precedenti...


In realtà  ci sono molte chitarre nel disco, io le ho usate spesso. Solo che hanno un suono diverso  dal solito: ci sono molti effetti, e a volte sembra di sentire dei sintetizzatori.


"Sonik kicks" è in un certo senso anche un album di famiglia. Ci cantano tua moglie Hannah e due dei tuoi figli. Mentre un'altra figlia, Jesamine, è citata nei crediti di una canzone, "Dragonfly". Com'è successo?  

Jesamine aveva scritto una poesia con quel titolo, credo si trattasse di un compito per la scuola.  "Lei è come un cavallo senza cavaliere/è come un mondo senza gente" sono versi che  ha scritto di getto, senza pensarci sopra, e che io ritengo bellissimi. Mi sembra che trasmettano un senso di  innocenza: così ho deciso di usarli come spunto per svilupparli in altre direzioni. In studio si è creata un'atmosfera che ci spingeva a provare qualunque cosa.


Il tuo home studio, il Black Barn?  


Sì, e avere un proprio studio a disposizione ovviamente aiuta. Arrivano gli amici, arrivano i familiari... e qualcosa finisce sul disco.


E' stato difficile convincere i tuoi figli a cantare?  


Per niente, per loro è stata una cosa del tutto  naturale. Mia figlia Leah e il mio figlio più piccolo, Mac, cantano su un pezzo intitolato 'Be happy children'. Mac ha solo sei anni ma ama già la musica e cantare gli piace. Non c'è voluto molto a convincerli, no.


Quanti figli hai?


Sette.


Gli ultimi due gemelli si chiamano Bowie e John Paul: in omaggio al Duca Bianco e ai Beatles?  


Ai Beatles, sì, ma anche a mio padre che si chiamava John. Amo
David Bowie, lo considero un grande artista. Ma è mia moglie la più grande fan in famiglia ed è stata lei a scegliere il nome. Ne abbiamo scelto uno a testa.

Mi sembra di sentire un che di bowiano nel nuovo singolo, "That dangerous age"...


Certamente. Mia moglie ascolta molto spesso la sua musica. Personalmente apprezzo soprattutto il suo album del '77, "Low",  che è uno dei miei dischi preferiti di tutti i tempi. Di quell'album mi piace molto  l'attitudine sperimentale. E sicuramente ne sono stato influenzato.


C'è molta varietà stilistica, nel disco.  L'arrangiamento per voce, chitarra acustica ed archi di "Down by the waters" ricorda Tim Hardin. Oppure quel che Robert Kirby faceva con Nick Drake, David Bedford con Roy Harper.   


L'elemento folk è sempre presente nella mia musica. In quel pezzo mi sono ispirato esplicitamente a "River man" di
Nick Drake: ho cercato di catturare lo spirito di quell'arrangiamento, il suo tono ombroso e l'impeto di quegli archi.  Mi piacciono gli arrangiamenti dei suoi dischi, quel loro suono classicheggiante.

"Study in blue", invece, è un pezzo molto lungo che si sviluppa su una base dub. Abbastanza inusuale, nella tua produzione.


No so che dire, è venuta fuori così. Ma ho sempre ascoltato il dub e il reggae, sono generi molto radicati nella cultura musicale britannica. La lunga coda dub finale è frutto di un'improvvisazione di studio: come gran parte del disco, a ben vedere. Abbiamo registrato  a blocchi, due o tre giorni per volta. Il lavoro in studio è stato molto intenso, abbiamo cercato di incidere più materiale possibile. Poi lo abbiamo riascoltato e abbiamo deciso come editarlo.  


Chi c'era in studio con te? Qual era il gruppo base?


Stavolta non c'è stato un gruppo vero e proprio. Steve (Cradock) era quasi sempre presente... ma principalmente si trattava di me, del coproduttore Simon Dine e di un paio di tecnici del suono. Davvero un piccolo team. Ho suonato personalmente un sacco di strumenti, chiamando di tanto in tanto qualcuno a dare una mano.


Con quale band ti esibisci dal vivo? La stessa del tour precedente?


Sì, la formazione è identica ma con un musicista in più perché in alcune canzoni ci sono due batterie. Dal vivo cerchiamo di replicare il più possibile il suono del disco.  


Man mano che passano gli anni sembri sempre più disposto a lasciare che la tua musica venga manipolata da altri. La collaborazione stretta con Simon Dine, i remix raccolti nel bonus disc di "Wake up the nation" e quelli  realizzati per "Sonik kicks" sembrano indizi di una maggiore apertura alle collaborazioni.


E' interessante osservare la tua musica dal punto di vista altrui. Lasciare mano libera ad altri musicisti e vedere che cosa ti torna indietro. A volte funziona, a volte no. Credo che tu abbia ragione, negli ultimi anni mi sento molto più disposto a collaborare con altra gente, a confrontarmi con le idee altrui. Quand'ero giovane ero molto più possessivo, non volevo che nessuno entrasse in quello che ritenevo essere il mio territorio. Con gli anni ho imparato ad aprirmi e a condividere la mia musica.

"Be happy children" e "Study in blue" sono canzoni d'amore piuttosto dirette. Altre volte i testi del disco hanno un tono molto più astratto, quasi impressionistico:  "Green", per esempio, con quelle immagini in rapida sequenza... Anche questa è una novità nel tuo modo di comporre.
Vero, è il motivo è sempre lo stesso:  sto cercando di conservare interesse per la scrittura. Non solo sotto il profilo musicale ma anche in relazione ai testi e alle parole. In questo disco mi sono messo alla prova con  alcune canzoni di taglio più impressionista, creando sequenze di immagini astratte e apparentemente scollegate che poi ho cercato di incollare per dar loro una qualche forma compiuta.  Faccio questo mestiere da tanto tempo, è facile rimanere intrappolati nella routine. Sto cercando il modo di uscirne, di andare oltre il mio modo tradizionale di esprimermi.

"When your garden's owergrown" è parzialmente ispirata alla figura di Syd Barrett...


Sì, ho cercato di immaginare come sarebbe stata la sua vita se non fosse diventato un musicista e non si fosse unito ai Pink Floyd. Se invece se ne fosse andato in giro per l'Europa a dipingere e a vivere una vita più felice. E' anche il mio modo di rendergli omaggio. Sono un suo grande fan dal 1967, dai tempi di singoli come "See Emily play".


Qualcuno ha sostenuto che in "Paper chase" tu abbia voluto ricordare Amy Winehouse.  


Quella canzone parla dei momenti bui della vita. Di quando esageri con l'alcool e con le droghe e finisci per vivere in una bolla. Senza vedere tutto quel che ti sta intorno, senza accorgerti delle persone che ti amano e a cui fai mancare la tua presenza. Non te ne accorgi perché sei totalmente assorbito dalla tua condizione. Può riguardare un sacco di gente, e sicuramente ha a che fare con certi periodi della mia vita. Qualcuno ha suggerito il nome di Amy Winehouse, ma non era a lei che pensavo mentre la scrivevo. Pensavo piuttosto a me stesso.


Ti sei mai sentito preso in quella trappola?


In passato, sì. Ma non oggi. Non prendo più droghe e ho smesso di bere circa sedici mesi fa. C'è voluto un po', ma all'improvviso è come se il mondo mi fosse riapparso davanti agli occhi. Compresi quei piccoli dettagli che quando sei sbronzo non vedi e di cui a un certo punto senti la mancanza. E' come vivere una sorta di risveglio.


E' una scelta che ha a che fare con le tue crescenti responsabilità di genitore? O con episodi di cattiva pubblicità come quel celebre episodio di  Praga finito su YouTube?


No, di quello non me ne frega un cazzo. L'ho fatto per motivi personali. Per spirito di autoconservazione. Ho pensato che se volevo vivere altri dieci o vent'anni dovevo smettere, e subito.


Che ricordo hai della Winehouse? Come hai reagito alla notizia della sua morte?


Purtroppo ce lo potevamo aspettare, dato il suo stile di vita. Quando è successo mi trovavo in vacanza in Spagna con la famiglia. E' stata mia moglie a dirmelo e la notizia mi ha rattristato profondamente. Era un gran talento naturale,ed è stata una grande perdita: per suo padre e per sua madre, prima di tutto, ma anche per i suoi tanti fan e per il mondo intero. Anche lei  sapeva comunicare con la gente. Ci siamo incontrati un paio di volte, non la conoscevo così bene ma era bravissima. Quando apriva bocca per cantare capivi che stava succedendo davvero qualcosa.



Non c'è Bruce Foxton, nel disco nuovo. Ma siete rimasti in contatto, dopo il riavvicinamento ai tempi di "Wake up the nation"?


Sì, e ogni tanto ci sentiamo. Abbiamo ripreso i contatti, siamo di nuovo amici e ne sono felice. Ci siamo visti prima di Natale, ho suonato un po' di tastiere sul suo nuovo album solista. Ma questo è quanto.


E' ben nota la tua contrarietà a una reunion dei Jam. A proposito, hai letto il libro di Simon Reynolds, 'Retromania'? La sua tesi è che guardarsi indietro sia l'elemento caratterizzante della scena pop e rock odierna...


Non ho letto il libro che citi ma la mia impressione è che ogni volta che ci si trova in un periodo di recessione, di crisi e di difficoltà economica le persone  cerchino di aggrapparsi a ciò che dà loro sicurezza, a quello che conoscono già. Credo che sia questa la causa scatenante della  nostalgia: la gente ha timore del nuovo, ha paura  di cambiare.  Eppure il cambiamento è essenziale, per gli esseri umani. Ogni due o tre anni è giusto cambiare qualcosa nella propria vita. Certo, sono tempi duri...le radio inglesi, per esempio, sono estremamente prevedibili: trasmettono musica degli anni Ottanta o le hit da Top Ten, nessuno si prende il rischio di programmare qualcosa di nuovo, di innovativo. E' una situazione deprimente. E ci sono un sacco di band che tornano insieme dopo venti, venticinque anni e occupano tutti gli spazi, togliendoli ai gruppi nuovi. Sto aspettando che qualcuno  punga questa bolla con uno spillo e la faccia esplodere. Che si torni ad occuparsi di quel che succede qui e ora.


Gli anni Ottanta, in effetti, sono tornati di moda. Ed è tornata di moda persino Margaret  Thatcher, dopo l'Oscar che Meryl Streep ha vinto per l'interpretazione di  "The iron lady": proprio lei, la signora di ferro che tu hai combattuto ai tempi dello sciopero dei minatori e del Red Wedge.


Mi sembra che qualcuno voglia riscrivere la Storia. Improvvisamente la Thatcher riappare come una donna politica forte e intelligente. Io non me la ricordo affatto così: me la ricordo come una nemica della classe lavoratrice che noi cercavamo di dileggiare. Credo che questa riabilitazione sia il frutto di una memoria selettiva. Oggi i media, la radio e la televisione inglese sono controllati in gran parte da una generazione di quarantenni che sono stati ragazzi negli anni Ottanta  e che a quell'epoca hanno iniziato ad ascoltare la musica pop, facendo il loro ingresso nella cultura giovanile. Gli Ottanta sono la loro epoca, ma non la mia: a me quel decennio non è piaciuto per niente. C'era buona musica, come in qualunque altro periodo, ma è stato davvero un periodo di merda. Politicalmente, culturalmente e anche dal punto di vista della moda è stato una porcheria.


In "Wake up the nation" ti sei espresso criticamente anche nei riguardi della realtà odierna. Il sonno delle coscienze, la mancanza di comunicazione nell'era dei social network...


E' vero, anche se sono felice di essere ancora in circolazione e di vivere questi tempi. Non sono uno di quelli che vorrebbero ritrovarsi nel 1959, o nel 1982. Sono felice di essere qui, nel 2012. Il mondo è turbolento, certo, è in uno stato di caos. Ma è sempre stato così, non ricordo di averlo mai visto diverso. Ci sono aspetti dei social newtork che non mi piacciono. Tuttavia diventano utili, un vero strumento di comunicazione, quando diffondono via internet filmati su quel che succede in Siria o in Libia. Non sono così stupido o cieco da essere contrario alla tecnologia: ma passare tutta la vita davanti a Facebook o a comunicare con amici persi nello spazio non mi sembra una cosa tanto raccomandabile. In ogni tecnologia c'è il buono e il cattivo: si tratta di prendere il meglio e di scartare il resto.


E dello stato del music business che ne pensi?


Perché, esiste ancora un music business?


Beh, Adele ha venduto 15 milioni di dischi o forse più...Qualità o marketing?


Per me è una grande artista. Belle canzoni, grande cantante. E' una persona vera, che appare per quel che è, e questo le permette di comunicare con il pubblico. Il motivo principale del suo successo sono le canzoni. Non credo c'entri molto, il marketing. E' una delle poche artiste di oggi che ha successo solo grazie al suo talento. Non punta su un aspetto sexy, canta e basta. Ed è un bel modello per le aspiranti cantanti che verranno dopo di lei.


Torniamo all'industria musicale. Sei preoccupato di come stanno le cose?


Che ci posso fare? La gente continuerà ad ascoltare musica, a comprarla e ad andare a vedere gli artisti suonare dal vivo. Una volta aperta la porta del download non puoi scappare, devi affrontare la situazione. Adattarti, cambiare. Certo è un mondo completamente diverso da quello che ho conosciuto quando,  da ragazzo, firmai il mio primo contratto con una casa discografica. Ma questo non mi fermerà dal fare musica, probabilmente mi costringerà solo a fare scelte  diverse. Quel che mi manca è il possesso della copia fisica del disco. Osservo le mie figlie di sedici e dodici anni e mi accorgo che ascoltano la musica a sprazzi.  Di un album ascoltano solo una canzone o due, e poi passano ad altro. Non coltivano la passione per gli album come facevamo noi.


Ti disturba che qualcuno - a partire dalle tue figlie - possa ascoltare un tuo disco in questo modo?


Sì, anche se in fin dei conti è meglio che ascoltino una canzone piuttosto che nessuna...Ma è come vedere un frammento del dipinto invece della tela intera. E' come leggere una pagina a caso di un libro, o la sinossi in ultima pagina. Ed è un peccato perché si perde molto.  I ragazzi oggi hanno molte più distrazioni, molte più alternative: nei Sessanta e Settanta avevi soltanto due opzioni, la musica e il calcio. Non c'era altro, mentre oggi ci sono gli sms,  internet e Facebook. Non mi sembra che per questa generazione la musica abbia lo stesso valore che aveva per noi. Lo stesso significato, la stessa importanza socioculturale. Io sono cresciuto in quel mondo, credevo nella musica e ci credo ancora.

20 marzo 2012

GLI ARRIVI DI MARTEDI' 20 MARZO

Vi presentiamo una selezione degli arrivi di oggi: novità, album live e dvd.  

GOTYE
MAKING MIRRORS

Bellissimo lavoro di questo musicista australiano che mescola sapientemente rock, soul, psichedelia, con echi di Beck, MGMT e Peter Gabriel.
GIARDINI DI MIRO'
GOOD LUCK







THE SHINS
PORT OF MORROW

Un lavoro che conferma la solida vena pop della band di James Mercer. L'album non deluderà gli ammiratori degli Shins e conquisterà nuovi ascoltatori.

 PINO DANIELE
LA GRANDE MADRE














FABIO CONCATO
TUTTO QUA












RIVAL SONS
PRESSURE & TIME


Nuova edizione dell'album della band rivelazione del 2011. Con 2 bonus tracks e un dvd con live e video promo.


NIRVANA
FEELS LIKE THE FIRST TIME


Broadcast registrati nel 1992/93 al Saturday Night Live e Mtv.






GREEN DAY
ON THE RADIO


Registrato @ WFMU FM Radio il 28/05/92






U2
FRISCO OUT OF CONTROL


Live in San Francisco del 1981.












KINGS OF LEON
KNOCKED UP LIVE
















LUCINDA WILLIAMS
LIVE FROM AUSTIN 1989





 

19 marzo 2012

RATS @DISCHINPIAZZA 24 MARZO


Dopo la data del 23 Marzo al Vox Club di Nonantola, i Rats si esibiranno a Dischinpiazza il pomeriggio del 24 (alle 18:30) in un esclusivo showcase acustico. Non mancate!

17 marzo 2012

Andrew Bird - Break It Yourself: la recensione di Ondarock

Vi presentiamo la recensione di Break It Yourself, il nuovo bellissimo album di Andrew Bird, disco del mese per il sito ondarock.it  

ANDREW BIRD
Break It Yourself
(Mom + Pop / Bella Union) 2012








 
 
 
 
di Gabriele Benzing

Se il cuore fosse un oceano, quanta acqua occorrerebbe per riempirlo? Sarebbe come scoprire che c'è un buco sul fondale: sempre incolmabile, sempre incompiuto. "A hole in the ocean floor", come dice Andrew Bird. Cuori immensi come oceani, cuori vulnerabili come bambini: sono questi i protagonisti di "Break It Yourself". Perché non c'è cuore più vero di quello capace di spezzarsi. Un po' come la musica: a volte è proprio quando ha l'apparenza più fragile che si insinua più nel profondo.
Niente impalcature elaborate, niente derive barocche. Stavolta a Andrew Bird basta stare aggrappato alle corde del proprio violino e lasciare andare tutto il resto. Libero di essere se stesso, senza bisogno di corollari da aggiungere. Per regalare uno dei tasselli più preziosi della sua discografia.

Dopo mesi febbrili sul palco, Bird ha voluto portare con sé la confidenza e l'estemporaneità dei suoi concerti. Ed è tornato nel suo granaio con un registratore a otto tracce e una formazione ridotta all'osso: la batteria di Martin Dosh, la chitarra e le tastiere di Jeremy Ylvisaker, il basso di Mike Lewis. "È cominciato tutto come una gloriosa sessione di prova", spiega. "L'opposto della produzione: quattro musicisti che suonano in una stanza insieme. Ci sono troppi dischi che suonano come una serie di decisioni e non come una performance".
Così, le nuove canzoni del songwriter americano vanno in cerca dello spazio in cui distendersi, percorse da uno spirito di improvvisazione che rimanda all'essenzialità di "Weather Systems". Sin dalle prime note di "Desperation Breeds..." la melodia levita impalpabile, si rifrange, insegue l'orizzonte, si attorciglia intorno a un ritmo. Non c'è l'immediato scintillio di "Noble Beast", ma una fascinazione più sottile, che si rivela a poco a poco lungo i percorsi sinuosi del violino.

Dall'esperienza in tour arriva direttamente una coppia di brani già anticipata nell'ultimo volume della collezione di live autoprodotti di Bird, "Fingerlings 4": "Sifters" assume il tono di una ninnananna appassionata, mentre "Danse Caribe" prende spunto dall'originaria versione strumentale per imbarcarsi sul bastimento di Paul Simon nel suo viaggio intorno al globo, lungo la rotta di "The Rhythm Of The Saints".
Il singolo "Eyeoneye" sfoggia un fiorire di aromi Sixties, ma a ferire sono soprattutto i momenti più indifesi del disco, come lo svolgersi trepidante di "Lazy Projector". In "Lusitania" entra in scena anche la morbida voce di Annie Clark (aka St. Vincent), ospite d'onore nel duetto con lo svagato fischiettio di Bird. L'archetto accarezza danze profumate d'Irlanda, le dita pizzicano le corde per tratteggiare i contorni. E se "Give It Away" imbastisce scioglilingua con la consueta leggerezza, il passo di "Near Death Experience Experience" si insinua contagioso tra i classici del repertorio di Bird.

Lo sguardo di "Break It Yourself" sembra farsi più personale che in passato. Ma anche quando parla d'amore, Bird lo fa sempre a modo suo. Calandosi nei panni di un bambino che va a trovare una vecchia signora all'ospizio, per sorprendere quella corrispondenza capace di unire misteriosamente due destini: "What if you were 75 and I were 9?/ Would I still visit you, bring you cookies in an old folks' home?".
Gli scenari naturalistici di "Noble Beast" riecheggiano in "Desperation Breeds...", dove la visione di un'immaginaria estinzione delle api (proprio come quella raccontata da Douglas Coupland in "Generation A") suona come una metafora del nostro tempo. Alla fine, la musica diventa un tutt'uno con il respiro della natura, accompagnando il frinire dei grilli sotto il cielo notturno. "The sound is a wave like a wave on the ocean", canta Bird. "The moon plays the ocean like a violin". L'oceano e il violino, ecco tutto. Non occorre altro che fermarsi e restare ad ascoltare.

12 marzo 2012

Le novità di martedì 13 marzo

Ecco le principali novità discografiche in uscita domani, martedì 13 Marzo.    

CAETANO VELOSO - DAVID BYRNE

LIVE AT CARNAGIE HALL 







THE DECEMBERISTS

WE ALL RAISE OUR VOICES TO THE AIR (LIVE)







LIONEL RICHIE

TUSKEGEE








 SERGIO CAMMARIERE


SERGIO CAMMARIERE
















GOLDFRAPP


THE SINGLES
















ANDREW BIRD


BREAK IT YOURSELF
















KATIE MELUA


SECRET SYMPHONY
















OFFLAGA DISCO PAX


GIOCO DI SOCIETA'


6 marzo 2012

Bruce Springsteen - Wrecking Ball: la recensione di Rockol

Nel giorno dell'uscita di Wrecking Ball, il nuovo bellissimo album di Bruce Springsteen, vi presentiamo la recensione pubblicata dal sito rockol.it 

Bruce Springsteen

WRECKING BALL


Columbia (CD)







  Il cuore, il lavoro, lo spirito: è tutto ciò che manca, e ci serve ora.
Prima di ascoltare l'intero album, "We take care of our own" sembrava il pezzo perfetto per essere frainteso e strumentalizzato come accadde per "Born in the U.S.A.", con quello spirito vagamente patriottico e un sapore da chiamata alle armi tutto americano; ora, invece, sappiamo che è soprattutto la domanda brutale alla quale gli altri brani di "Wrecking ball" proveranno a fornire una risposta.
E' un album, questo, che urla in faccia che la distanza tra la realtà e il sogno americano è enorme, che la promessa è stata tradita. Parla di depressione. Economica, per cominciare; sociale, per peggiorare; morale - il che è intollerabile per Bruce. Accusa il colpo e si preoccupa soprattutto di non essere frainteso: non solo attraverso testi inequivocabili e bellissimi, ma anche scarnificando la sua musica, risalendo alle radici del folk per offrire ai suoi personaggi e alle sue immagini cinematografiche la colonna sonora perfetta.
"Wrecking ball" è una botta alla bocca dello stomaco, una collezione di liriche potentissime e inequivocabili, una galleria dei consueti protagonisti springsteeniani che stavolta sono sospesi nel tempo perchè, anzichè rappresentare l'ordinary Joe o celebrare l'eroismo della vita quotidiana, costruiscono la metafora dei killer sociali contro i quali Bruce punta il dito e batte il pugno. Come lo spiantato di "Easy money". Vestito a festa, pronto a fiondarsi in città con la sua ragazza agghindata in abito rosso e una Smith & Wesson in mano, è semplicemente un rapinatore senza scrupoli: c'è differenza tra un bandito da Far West e un banchiere di tre anni fa? No. Perchè cambia lo scenario, ma il contesto è lo stesso, un’America lacerata. Springsteen costruisce l'atmosfera con una miscela country-folk-celtica, con suoni da frontiera, violini ora in sottofondo ora in primo piano, battimano da saloon. Paiono immediatamente lontani i tempi di Brendan O'Brien, qui sembra quasi che Ron Aniello abbia voluto far subentrare la E Street Band solo in un secondo momento. Sono quindi brani solisti suonati da una grande band, il cui consueto wall of sound riemerge anche intorno a pezzi nati per essere spogli. Testato dalle 'Seeger sessions', Bruce Springsteen sa come maneggiare anche la parte più recondita dell'American Songbook, conosce i punti di congiunzione tra una melodia redneck e un gospel viscerale, e ce lo dimostra nella stupenda "Shackled and drawn". E' una produzione che tende a sottrarre, forse anche perchè sarebbe sconcio arrangiare troppo intorno a canzoni come questa e come "Jack of all trades", l'uomo per tutte le stagioni che, dato che 'the banker man grows fat and the working man grows thin', se avesse una pistola 'sparerebbe a vista a quei bastardi' - e qui finalmente la Telecaster si riprende la scena e chiude la ballata in un crescendo lancinante.
"Death of my hometown" suona come una parata nel giorno di San Patrizio a New York ma pone la domanda dell’uomo semplice: come è possibile che senza bombe, senza spari, senza dittatori abbiano potuto portare la morte nella mia città? Il Boss è incazzato seriamente. Se il dopo-11 settembre era stato una resurrezione, qui siamo in mezzo al guado della sofferenza; prima di arrivare a "The rising" bisogna semplicemente "mandare i baroni ladri dritti all'inferno". L'obiettivo è il mondo della finanza e delle banche, ma il vero cancro è stato causato da strati di avidità e da decenni di dissoluzione dello stato sociale che a quel mondo hanno spalancato le porte e hanno lasciato mano libera. "This depression” sancisce il punto più basso della condizione americana nei nostri anni Dieci: 'mi è già successo di sentirmi giù e perso, ma mai così; la mia fede aveva già vacillato, ma non mi ero mai sentito senza speranze; in questa depressione ho bisogno del tuo cuore". E' un altro rocker atipico, durissimo ma lento, sincopato, nel quale la granitica base ritmica finisce col cedere il passo a una chitarra così ipnotica e ululante da suonare niente affatto springsteeniana. Sarà la suggestione, ma quando arriva la title track si nota che il pezzo appartiene ad altro in termini di umore, di suono, di atmosfera; quella della palla da demolizione è una metafora molto più classica rispetto alle immagini crudissime della maggior parte di questi pezzi. E il concetto vale anche per la musica: in "Wrecking ball", alla fine, comandano l'organo e il finale è quasi festoso, affidato ai fiati; anche la band pare più organica, meno sovrapposta.
"You've got it" è il mio brano preferito. E' apparentemente il più semplice e meno impegnato ma, forse, è quello che contiene la soluzione. L'incipit acustico, il crescendo elettrico, una sezione fiati al top, una potenza esplosiva trattenuta sapientemente, una ballata intensa, la voce che ti entra dentro. E' la canzone d'amore dell'album, ma non è una 'love song'. Un pezzo elegantemente grezzo, di classe, il genio di chi sa mescolare l'amore quintessenziale con quello sensuale: "tu ce l'hai, baby: dammelo; nessuno può rubarlo, romperlo, fingerlo, lo riconosci quando lo senti; non puoi leggerlo, non puoi sognarlo: lo riconosci quando lo vedi; è l'amore, non so di cosa l'abbia fatto Dio". Finalmente una tensione positiva, finalmente la redenzione è di nuovo possibile.
La sorpresa che non potevi aspettarti arriva con il loop elettronico e ipnotico che lancia "Rocky ground": presto quel loop cederà spazio a un fantastico cantato femminile e lascerà che, di nuovo, sacro e profano si incrocino senza problemi: l'intermezzo rap e l'atomosfera hip hop declinano meravigliosamente verso un finale puramente gospel.
"Land of hopes and dreams", il secondo non-inedito insieme alla title track, al pari di quest'ultima tradisce il suo dna diverso rispetto alla genesi complessiva dell'album. E' un treno che trasporta vincitori e sconfitti, suonano le campane della libertà e, nota struggente, squilla l'assolo di Clarence. E' un momento toccante e dal vivo farà scorrere molte lacrime.
"We are alive", che chiude l'album con uno scenario da camposanto, è in realtà un gioco di contrasti e regala l'immagine della forza dei padri finiti sottoterra ma ancora vivi nello spirito: "sono solo i nostri corpi a tradirci, alla fine", ci insegnano, come a ricordarci che le battaglie condotte e gli esempi restano per sempre, che chi se ne è andato continua a esigere rispetto per la memoria di sè e delle cose fatte.
Il 2012 ritrova Bruce Springsteen in stato di grazia e ci consegna il suo album più politico di sempre - più scuro di "Darkness", infinitamente più disilluso di "The river", straordinariamente contemporaneo laddove 'Tom Joad', che dell'"altra" Depressione era intriso, era stato evocativo.
E' l'anno delle elezioni e i suoi testi sono vividi: le immagini - nitide e sgradevoli se serve - contano più dei personaggi, il bersaglio è a fuoco, il Boss lo paragona ai banditi di frontiera del tardo Ottocento e spara ad alzo zero, incurante di democratici e repubblicani che si contenderanno una fetta del suo patriottismo.
E' anche l'anno della recessione che tenta di svanire, ma "Wrecking ball" romba e suggerisce di non fidarsi: aggrappata allo spirito delle radici per esprimere la rabbia e l'indignazione, evoca i toni sinistri della Guerra Civile e, a tratti, suona nuda come l'ultimo Cash con Rick Rubin alle spalle: l'attitudine punk non teme il country sullo sfondo.
E', per concludere, pure l'anno del tour che succede a quello straordinario del 2009 - ma è il primo senza Clarence. Springsteen chiederà il migliore rock and roll show alla E Street Band, grazie a un'infusione di hard folk.

(Giampiero Di Carlo)

2 marzo 2012

Prevendite Off

Questi sono i prossimi concerti in programma all' OFF di Modena (via Morandi 71) per i quali potrete trovare la prevendita nel nostro negozio. Vi ricordiamo che il costo del biglietto in prevendita è INFERIORE a quello che pagherete in cassa la sera del concerto.   

Ginevra Di Marco
Mercoledì 7 Marzo
Prevendita 10€
Cassa 12€






Jonathan Richman (Opening Act: Rigo)
Giovedì 15 Marzo
Prevendita 10€
Cassa 12€



OfflagaDiscoPax
Giovedì 29 Marzo
Prevendita 8€
Cassa 10€