24 aprile 2012

Jack White - Blunderbuss: la recensione di Rockol

Vi presentiamo la recensione di Blunderbuss, primo album solista di Jack White, pubblicata dal sito rockol.it

Jack White

BLUNDERBUSS 

Third Man/Xl Recordings (CD)

   

 

  

Nello zoo di Nashville, da circa un anno, ci sono due cuccioli di leopardo nebuloso. E' una specie ad alto rischio di estinzione, per cui la struttura statunitense ha avviato un programma speciale per conservarla il più a lungo possibile. Ironia della sorte, nella stessa città c'è un altro esemplare raro. E' un homo sapiens chiamato Jack White. Uno che ha bisogno di poche presentazioni: ex leader dei disciolti White Stripes, mente dei progetti Raconteurs e Dead Weather, produttore e da non molto anche discografico con la sua Third Man Records. Una delle poche e autentiche rockstar rimaste in giro, senza retorica.
Mr. John Anthony Gillis è un uomo d'altri tempi. Scettico verso Auto-Tune e Pro Tools, dopo la fine della band di "Seven nation army" ha costruito il suo rifugio a Nashville, in uno studio che per chi l'ha visto è un'autentica meraviglia della tecnologia analogica. Qui ha ospitato spesso i gruppi della sua Third Man Records, un po' produttore un po' session man. E nei mesi scorsi, tra una prova e l'altra ha anche registrato il suo atteso esordio solista.
Nella musica, come in qualsiasi opera d'arte, il titolo conta molto. "Blunderbuss", "l'archibugio", è già un inizio promettente. Evoca in un sol colpo tutto l'immaginario che è contenuto in queste canzoni che mescolano le tradizioni musicali con furbizia e mestiere: c'è tanto folk bianco, ma anche molta "race music". C'è il rock dei White Stripes, ma meno di quello che ci si aspetterebbe. E c'è soprattutto un lavoro certosino sui suoni, molti dei quali registrati in presa diretta, sulla profondità delle (bellissime) chitarre acustiche ed elettriche. Accanto alla voce di Jack si alternano anche diverse ugole femminili come quella di Ruby Amanfu, corista di origine ghanese.
Ma in "Blunderbuss" ci sono soprattutto le canzoni. Come l'iniziale "Missing pieces", che si apre con un bel piano rhodes in primo piano e prosegue sorretta da un tappeto di chitarre. Mr.White evoca immagini oniriche e surreali, prima di concedersi un assolo distorto. Neanche il tempo di rilassarsi un attimo che il riff della successiva "Sixteen saltines", un pezzo che sembra uscito da "Elephant", ti mette al tappeto. Curioso che in questo brano, come del resto in tutto l'album, non ci sia un basso elettrico ma un contrabbasso, affidato a Bryn Davies. Un segno che l'artista non lascia nulla al caso. I testi, come spesso capita con il rocker di Detroit, raccontano rapporti complicati, e spesso burrascosi, tra uomo e donna.
Il blues imbastardito di "Freedom at 21", dove Jack gioca con il falsetto e con un verseggiare quasi rap, tiene l'asticella altissima. Poi c'è il singolo "Love interruption", un numero per chitarra acustica, Wurlitzer e clarinetto di grande eleganza. C'è un aneddoto che spiega bene le registrazioni di "Blunderbuss": questa canzone era nata elettrica, poi White dopo diverse prove poco produttive ha deciso di ridurla all'osso. E di registrarla tutta in presa diretta, radunando i musicisti al suo fianco e giocando sul contrasto tra la sua voce maschile e quella femminile della Amanfu. Un piccolo grande gioiello di rock acustico. Al musicista americano piace giocare con i riferimenti: non si può non notare l'omaggio ai (a lui cari, lo sappiamo) Led Zeppelin più bucolici nella bella titletrack come in "Hypocritical kiss". Come non si può non battere il piedino nel divertissement rock'n'roll creato dalla cover di "I'm shakin'" di Rudy Toombs. "Trash tongue talker", con quel cantato arrogante, è un rhythm and blues che piacerebbe a Dr.John.
Questo è un disco che non sarebbe mai nato, se Jack White non vivesse a Nashville. Lo ha detto lui stesso. Se avete dubbi, ascoltate "I guess I should go to sleep" e poi ne riparliamo. Anche il finale è all'altezza delle premesse. La nenia indianeggiante di "On and on and on" è, insieme a "Love interruption" e "Blunderbuss", il vertice dell'album, forte di un giro di contrabbasso killer. A chiudere il cerchio ci pensa la jazzata "Take me with you when you go", arrangiata con un intreccio di voci a incastro e chiusa con un altro brillante assolo di chitarra.
"Blunderbuss" apre una strada diversa, fuori dal tratto seguito finora con White Stripes, Raconteurs e Dead Weather. E' più che mai un omaggio ad un epoca che è stata e non sarà più, ma è stato fatto con attenzione quasi filologica alle "fonti" e con grande passione. Non è solo un disco di revival, è qualcosa di più. Musica che Mr.White e pochi altri oggi si possono permettere di fare. Alla fine questa, più che una recensione, è un appello: preserviamo Jack, è una specie rara. Rarissima.


(Giovanni Ansaldo)

TRACKLIST:
“Missing pieces”
“Sixteen saltines”
“Freedom at 21”
“Love interruption”
“Blunderbuss”
“Hypocritical kiss”
“Weep themselves to sleep”
“I'm Shakin”
“Trash tongue talker”
“Hip (Eponymous) poor boy”
“I guess I should go to sleep”
“On and on and on”
“Take me with you when you go”

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