Jack White - Blunderbuss: la recensione di Rockol
Vi presentiamo la recensione di Blunderbuss, primo album solista di Jack White, pubblicata dal sito rockol.it
Jack White
BLUNDERBUSS
Third Man/Xl Recordings (CD)
Nello zoo di Nashville, da circa un anno,
ci sono due cuccioli di leopardo nebuloso. E' una specie ad alto rischio
di estinzione, per cui la struttura statunitense ha avviato un
programma speciale per conservarla il più a lungo possibile. Ironia
della sorte, nella stessa città c'è un altro esemplare raro. E' un homo
sapiens chiamato Jack White. Uno che ha bisogno di poche presentazioni: ex leader dei disciolti White Stripes, mente dei progetti Raconteurs e Dead Weather,
produttore e da non molto anche discografico con la sua Third Man
Records. Una delle poche e autentiche rockstar rimaste in giro, senza
retorica.
Mr. John Anthony Gillis è un uomo d'altri tempi. Scettico verso
Auto-Tune e Pro Tools, dopo la fine della band di "Seven nation army" ha
costruito il suo rifugio a Nashville, in uno studio che per chi l'ha
visto è un'autentica meraviglia della tecnologia analogica. Qui ha
ospitato spesso i gruppi della sua Third Man Records, un po' produttore
un po' session man. E nei mesi scorsi, tra una prova e l'altra ha anche
registrato il suo atteso esordio solista.
Nella musica, come in qualsiasi opera d'arte, il titolo conta molto.
"Blunderbuss", "l'archibugio", è già un inizio promettente. Evoca in un
sol colpo tutto l'immaginario che è contenuto in queste canzoni che
mescolano le tradizioni musicali con furbizia e mestiere: c'è tanto folk
bianco, ma anche molta "race music". C'è il rock dei White Stripes, ma
meno di quello che ci si aspetterebbe. E c'è soprattutto un lavoro
certosino sui suoni, molti dei quali registrati in presa diretta, sulla
profondità delle (bellissime) chitarre acustiche ed elettriche. Accanto
alla voce di Jack si alternano anche diverse ugole femminili come quella
di Ruby Amanfu, corista di origine ghanese.
Ma in "Blunderbuss" ci sono soprattutto le canzoni. Come l'iniziale
"Missing pieces", che si apre con un bel piano rhodes in primo piano e
prosegue sorretta da un tappeto di chitarre. Mr.White evoca immagini
oniriche e surreali, prima di concedersi un assolo distorto. Neanche il
tempo di rilassarsi un attimo che il riff della successiva "Sixteen
saltines", un pezzo che sembra uscito da "Elephant", ti mette al
tappeto. Curioso che in questo brano, come del resto in tutto l'album,
non ci sia un basso elettrico ma un contrabbasso, affidato a Bryn
Davies. Un segno che l'artista non lascia nulla al caso. I testi, come
spesso capita con il rocker di Detroit, raccontano rapporti complicati, e
spesso burrascosi, tra uomo e donna.
Il blues imbastardito di "Freedom at 21", dove Jack gioca con il
falsetto e con un verseggiare quasi rap, tiene l'asticella altissima.
Poi c'è il singolo "Love interruption", un numero per chitarra acustica,
Wurlitzer e clarinetto di grande eleganza. C'è un aneddoto che spiega
bene le registrazioni di "Blunderbuss": questa canzone era nata
elettrica, poi White dopo diverse prove poco produttive ha deciso di
ridurla all'osso. E di registrarla tutta in presa diretta, radunando i
musicisti al suo fianco e giocando sul contrasto tra la sua voce
maschile e quella femminile della Amanfu. Un piccolo grande gioiello di
rock acustico. Al musicista americano piace giocare con i riferimenti:
non si può non notare l'omaggio ai (a lui cari, lo sappiamo) Led
Zeppelin più bucolici nella bella titletrack come in "Hypocritical
kiss". Come non si può non battere il piedino nel divertissement
rock'n'roll creato dalla cover di "I'm shakin'" di Rudy Toombs. "Trash
tongue talker", con quel cantato arrogante, è un rhythm and blues che
piacerebbe a Dr.John.
Questo è un disco che non sarebbe mai nato, se Jack White non vivesse a
Nashville. Lo ha detto lui stesso. Se avete dubbi, ascoltate "I guess I
should go to sleep" e poi ne riparliamo. Anche il finale è all'altezza
delle premesse. La nenia indianeggiante di "On and on and on" è, insieme
a "Love interruption" e "Blunderbuss", il vertice dell'album, forte di
un giro di contrabbasso killer. A chiudere il cerchio ci pensa la
jazzata "Take me with you when you go", arrangiata con un intreccio di
voci a incastro e chiusa con un altro brillante assolo di chitarra.
"Blunderbuss" apre una strada diversa, fuori dal tratto seguito finora
con White Stripes, Raconteurs e Dead Weather. E' più che mai un omaggio
ad un epoca che è stata e non sarà più, ma è stato fatto con attenzione
quasi filologica alle "fonti" e con grande passione. Non è solo un disco
di revival, è qualcosa di più. Musica che Mr.White e pochi altri oggi
si possono permettere di fare. Alla fine questa, più che una recensione,
è un appello: preserviamo Jack, è una specie rara. Rarissima.
(Giovanni Ansaldo)
TRACKLIST:
“Missing pieces”
“Sixteen saltines”
“Freedom at 21”
“Love interruption”
“Blunderbuss”
“Hypocritical kiss”
“Weep themselves to sleep”
“I'm Shakin”
“Trash tongue talker”
“Hip (Eponymous) poor boy”
“I guess I should go to sleep”
“On and on and on”
“Take me with you when you go”
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