OF MONSTERS AND MAN
"My head is an animal"
E' uno dei dischi più interessanti degli ultimi tempi: sono islandesi ma non sono assimilabili ad artisti di quel paese come Bjork o i Sigur Ros. Hanno un approccio tra folk e rock e se devo fare dei paragoni farei riferimento soprattutto agli Arcade Fire, ai Mumford & Sons e a certe cose dei National. Questa che segue è la recensione del loro album di debutto fatta dal sito "rockol.it".
Arriviamo con leggero ritardo su questo disco, ma che importa. Quando ti capita tra le mani un bel lavoro è giusto parlarne, anche se è uscito ufficialmente due mesi fa.
E' il caso di “My head is an animal” degli Of Monsters and Men. La band islandese è nata nel 2009 ed è emersa in patria partecipando ai due più importanti festival della nazione (Músíktilraunir e Iceland Airwaves), trasformando la propria line-up da quartetto a sestetto nel giro di due anni. I ragazzi, una donna e cinque uomini, vengono notati negli Usa, dove la Universal decide di scritturarli per il loro album di debutto.
Il lancio avviene con il singolo “Little talks” (che attualmente gira moltissimo anche nelle radio italiane), un pezzo perfetto per la stagione estiva, con fiati e coretti in primo piano e le voci di Nanna e Ragnar che si intrecciano. Non a caso arrivano fino alla quinta posizione dei singoli alternative più venduti negli States. Gli Of Monsters and Men sono indubbiamente andati a lezione dagli Arcade Fire, dai quali hanno imparato molte cose (l'uso dei cori, l'utilizzo di numerosi e svariati strumenti, i cambi di tempo e l'alternarsi della voce femminile/maschile), aggiungendoci però una carica più positiva e solare.
Il loro primo disco contiene più di una perla, brani che quando ricalcano la formula luminosa del singolo hanno la capacità di accendere e mettere di buon umore (come in un altro potenziale singolo “Mountain sound” o “From Finner”) oppure riescono ad essere delle cavalcate caratterizzate da cambi di atmosfere e di carattere (e qui si affaccia prepotentemente il fantasma di Win Butler e soci). E' il caso di veri e propri inni come “King and lionheart” ed i suoi saliscendi indie-pop, della splendida “Six weeks” e delle sua atmosfere chiaro-scure in crescendo o “Lakehouse” e la sua esplosione finale con fiati e cori in grande spolvero.
Infine ci sono ballate che per delicatezza ricordano i defunti Moldy Peaches di Adam Green e Kimya Dawson, episodi ben rappresentati da “Love love love” e dalla conclusiva “Yellow light”.
“My head is an animal” non è un disco perfetto e le pecche si possono riscontrare nell'eccessivo numero di ballate (un paio in meno non avrebbero guastato) e nello smodato uso di cori e “la la la” che sono simpatici quanto si vuole, ma dopo un po'...
Sono dettagli che comunque non inficiano un ottimo disco d'esordio, derivativo è vero, ma realizzato con gran classe e personalità. Gli islandesi dimostrano di saperci fare anche con il pop e siamo quasi sicuri che tra qualche tempo li ritroveremo a cantarci di mostri e di uomini dentro a grandi arene. Il potenziale c'è tutto.
(Ercole Gentile)
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