26 ottobre 2012

MATTEO TONI "SANTA PACE"

ECCOVI UNA BELLA RECENSIONE DI UN NUOVO ALBUM DI UN MUSICISTA MODENESE CHE MERITA TUTTA LA VOSTRA ATTENZIONE. MATTEO E' UN OTTIMO CHITARRISTA SLIDE E SCRIVE TESTI INTELLIGENTI (IN ITALIANO, COSA DA NON SOTTOVALUTARE PER CHI FA COSE COME LE SUE). "SANTA PACE" MERITA TUTTE LE LODI CHE GLI VENGONO FATTE, NON SOLO PERCHE' MATTEO E GIULIO (IL SUO VALENTE BATTERISTA) SONO AMICI, MA PERCHE' NEL PANORAMA ITALIANO HANNO UNA PROPOSTA INTELLIGENTE, INNOVATIVA E CORAGGIOSA.


7/10

Matteo Toni

Santa Pace

 Mat­teo Toni è un ra­gaz­zo­ne mo­de­ne­se di 37 anni che ama stare ac­coc­co­la­to su uno sga­bel­lo, me­glio a piedi nudi, con una slide gui­tar po­sa­ta sulle gambe. Que­st’im­ma­gi­ne, in Ita­lia, è una ra­ri­tà pres­so­ché as­so­lu­ta: al­l’o­rec­chio, poi, la sin­go­la­ri­tà è ri­ba­di­ta. Eva­den­do dai con­fi­ni della pe­ni­so­la, al con­tra­rio, l’ac­co­sta­men­to (in­gom­bran­te) con Ben Har­per è fa­ci­le, ine­vi­ta­bi­le; fare di Toni un mero di­sce­po­lo del­l’a­me­ri­ca­no, tut­ta­via, sa­reb­be scor­ret­to, oltre che fuor­vian­te. Il gra­vo­so raf­fron­to calza solo di rado: nei mo­men­ti dal re­spi­ro soul-rock, in al­cu­ni ar­peg­gi più lim­pi­di. Ma Mat­teo Toni e il bat­te­ri­sta Giu­lio Mar­ti­nel­li – che ma­ni­fe­sta­no la loro arte in ita­lia­no, e que­sta è già una na­tu­ra­le dif­fe­ren­za di non poco conto – esplo­ra­no per­so­na­li, spe­ci­fi­ci oriz­zon­ti, co­lo­ra­ti da to­na­li­tà nuove. Il pa­ra­go­ne con Har­per fa parte, dun­que, di un gio­chi­no pue­ri­le che si serve del con­fron­to come esclu­si­va oc­ca­sio­ne di clas­si­fi­ca­zio­ne o di even­tua­le scre­di­ta­men­to, senza com­pren­de­re che un’i­spi­ra­zio­ne, poi, può in­tra­pren­de­re per­cor­si pro­pri.
Il primo ep di Toni, usci­to nel 2011, con­ta­va cin­que soli brani, un as­sag­gio. De­no­ta­va una ma­te­ria grez­za, acer­ba, che ne­ces­si­ta­va an­co­ra di pla­smar­si, pren­de­re forma, as­su­me­re con­tor­ni: pur ri­ma­nen­do nel me­de­si­mo solco, Toni giun­ge per­ciò a quasi com­ple­ta ma­tu­ra­zio­ne con il nuovo disco, Santa Pace, raf­for­zan­do la sua ri­cer­ca di “calma in­te­rio­re”, la stes­sa che lo spin­se ad ab­ban­do­na­re il suo pro­get­to pre­ce­den­te (i Sun­gria), de­di­to al funk-reg­gae. Santa pace come il terzo brano del­l’al­bum, ma anche come “Pre­ghie­ra alla tran­quil­li­tà di vi­ve­re le cose”, nella loro im­me­dia­tez­za e nella loro veste es­sen­zia­le: una va­gheg­gia­ta sem­pli­ci­tà per­va­de in­fat­ti tutto il disco, si ri­ver­be­ra di con­ti­nuo nelle ar­mo­nie e nei con­cet­ti. Dalla mi­sce­la di in­gre­dien­ti in pos­ses­so di Toni e Mar­ti­nel­li – si va dal reg­gae al rock più puro, con un piz­zi­co di blues e di pop – po­treb­be na­sce­re un piat­to trop­po far­ci­to, per­ciò ano­ni­mo e in­sa­po­re. Il do­sag­gio degli ele­men­ti è in­ve­ce mi­su­ra­to con sa­pien­za: l’e­si­to è una pie­tan­za agro­dol­ce, de­li­ca­ta o esplo­si­va a se­con­da dei mo­men­ti. Que­sta con­sa­pe­vo­le bi­va­len­za, pre­sen­te tal­vol­ta al­l’in­ter­no di uno stes­so brano, non è male amal­ga­ma­ta: i trat­ti lu­mi­no­si, rag­gian­ti (nella mu­si­ca e nelle li­ri­che) la­scia­no il posto a temi più cupi, spor­chi e sab­bio­si senza che que­sto scar­to crei ec­ces­si­vo di­so­rien­ta­men­to.
È con la se­con­da parte del disco che at­mo­sfe­re di­ste­se e me­lo­di­che sop­pian­ta­no le trac­ce ru­vi­de e vi­sce­ra­li che im­pe­ra­va­no agli inizi. La voce spes­so tre­man­te, af­fia­ta­ta coi vi­bra­ti della chi­tar­ra, si li­be­ra in testi senza fron­zo­li, di­sin­can­ta­ti e quasi ti­mi­di, che però scan­sa­no abil­men­te ba­na­li­tà in que­sti casi sem­pre die­tro l’an­go­lo. Per­ciò bal­la­te quali Alle quat­tro del mat­ti­no (con­ti­nua­zio­ne del pezzo pre­ce­den­te) o Acqua del fiume non sono mai brani piat­ti e scon­ta­ti, anzi si col­lo­ca­no tra gli epi­so­di mi­glio­ri del­l’in­te­ro album. Ep­pu­re gli echi ru­vi­di e sur­rea­li (Bruce Lee vs Ka­reem Ab­dul-Jab­bar) e i re­spi­ri blues di Isola nera apro­no pre­po­ten­te­men­te il disco. Il brano omo­ni­mo del­l’al­bum, as­sie­me Alle quat­tro del po­me­rig­gio, ri­ve­la l’af­fla­to reg­gae ap­par­te­nen­te al re­tag­gio di Toni, che poi si perde nella me­ra­vi­glia e nello stu­po­re dei ri­cor­di (I pro­vin­cia­li di nuoto). Slide evo­ca­ti­vi, in­ve­ce, co­ro­na­no la flut­tuan­te Me­lo­dià e il fi­na­le scin­til­lan­te di Fi­da­ti. Nel gran­de con­ge­do, Il canto di Va­len­ti­na, Toni in­vo­ca “pa­zien­za” e “spe­ran­za”: sono en­tram­be doti che egli dovrà col­ti­va­re per af­fio­ra­re da un pa­no­ra­ma mu­si­ca­le ita­lia­no a trat­ti trop­po spen­to e asfit­ti­co. La luce ac­ce­sa è quel­la buona, la sua mu­si­ca è qual­co­sa di di­ver­so, di in­con­sue­to, che non im­boc­ca stra­de bat­tu­te (po­treb­be anzi fab­bri­car­ne di nuove), ma calca sen­tie­ri in­so­li­ti. E lo fa a piedi nudi, con una chi­tar­ra slide sulle gambe, la voce tre­man­te e tal­vol­ta con un’ar­mo­ni­ca in bocca, in quel­la pa­ci­fi­ca sem­pli­ci­tà che a volte è mi­glio­re di ogni or­pel­lo.



Nessun commento:

Posta un commento