HO SEMPRE AMATO MOLTISSIMO I BAUSTELLE, FIN DALL'ESORDIO PIU' DI DIECI ANNI FA' CON "IL SUSSIDIARIO ILLUSTRATO DELLA GIOVINEZZA" E "LA MODA DEL LENTO". ORA BIANCONI E SOCI SONO CRESCIUTI, SIA ANAGRAFICAMENTE SIA MUSICALMENTE. IL NUOVO ALBUM "FANTASMA" NON E' UN DISCO FACILE, DI QUELLI DA MANDARE GIU' AL PRIMO COLPO (ANCHE SE IL PRIMO SINGOLO "LA MORTE NON ESISTE" TI ENTRA SUBITO SOTTOPELLE). LE RICCHE E BELLE ORCHESTRAZIONI HANNO RICHIAMI IMPORTANTI MA NON SCONTATI ED I TESTI, BELLISSIMI COME SEMPRE, VANNO MEDITATI PER BENE E ALLA FINE RISULTERANNO MENNO CUPI DI QUELLO CHE PUO' APPARIRE AD UN PRIMO ASCOLTO. QUI DI SEGUITO POTETE LEGGERE LA BELLA RECENSIONE DI "ONDAROCK".
Francesco Bianconi continua a perseguire e a realizzare i propri sogni.
Il suo slancio verso una perfezione pop densa di classicismo raggiunge l’apice nel disco più ambizioso finora pubblicato dai Baustelle, i quali con “Amen” conclusero idealmente la personale quadrilogia sull’età giovanile, per lanciarsi da “I mistici dell’occidente” verso un percorso più “adulto”.
Bianconi è da sempre alla costante ricerca di una forma “alta” di canzone, che si lascia ispirare senza timori reverenziali tanto dai migliori cantautori di casa nostra (De André e Battiato in primis) quanto dagli storici chansonnier d’oltralpe (Brassens, Gainsbourg).
Una sorta di equivalente musicale di Quentin Tarantino: un citazionista che si è cibato delle cose che ama, le ha triturate, le ha rielaborate, riuscendo nel tempo a sviluppare uno stile personale che oggi lo identifica e lo caratterizza (nel bene e nel male) presso il grande pubblico.
Alle volte può legittimamente apparire insolente o snob, ma il successo che si è ritagliato come songwriter (per sé e per altri) è indiscutibilmente meritato, frutto del superbo lavoro svolto in questi anni.
Per “Fantasma” ha creato un disco organizzato come un film, con tanto di titoli di testa e di coda, interpretabile al tempo stesso come la sua colonna sonora immaginaria, dal taglio profondamente sinfonico, densa di esoterismo, di sonorità spettrali, di citazioni letterarie e cinematografiche.
Niente di nuovo per il suo stile, ma tutto amplificato all’ennesima potenza, ponendo le orchestrazioni al centro del progetto.
Il citazionismo è spintissimo, sin dalla copertina, un omaggio a Nicoletta Elmi, con la bimba ritratta in atteggiamento soprannaturale, a metà strada fra il demoniaco ed i quadri di Klimt, ma è tutto l’artwork a richiamare l’estetica dei film horror anni Settanta.
E’ raro di questi tempi imbattersi in un disco così pensato, con un’idea centrale fortissima, nel quale ogni singolo dettaglio è stato pesato e ponderato oltre misura per far parte di un congegno perfettamente sincronizzato.
Si tratta di un concept figlio dei fantasmi della nostra epoca, dove il tema aggregatore è il trascorrere del tempo: in tredici tracce e sei intermezzi strumentali vengono scandagliate le nostre paure, le nostre solitudini, i nostri incubi.
Tutto è intriso di quel maledettismo figlio di Baudelaire e della “Spoon River Anthology” di Edgar Lee Masters, la percezione dei fantasmi come specchi riflettenti il nostro io, e la conclusione che spesso i più temibili spettri siamo proprio noi stessi.
Il fantasma è la conseguenza più romantica dell’evento della morte: ma la morte esiste davvero, oppure è il più grande degli inganni? I Baustelle decidono di prendere spunto dai tormenti più amari per affrontare l’evento della perdita in maniera artistica.
Ma dentro “Fantasma” non c’è soltanto scuro pessimismo cosmico, le argomentazioni sono grevi soltanto in apparenza: bastano pochi approfondimenti per comprendere quanto in queste liriche a trionfare siano la speranza, l’amore, la vita.
Persino in “La morte (non esiste più)”, il prezioso instant classic che ha anticipato di qualche settimana la pubblicazione dell’album, il protagonista trova conforto in una visione pura, ultraterrena dell’amore, riuscendo così ad allontanare la paura di morire: un testo sul sollievo, non certo un inno alla fine dei giorni.
Ci sono delle costanti che si ripetono nel songwriting di Bianconi, quali il misticismo, il richiamo a Dio, alla morte, alla guerra, ed anche stavolta non si esce dal seminato, con l’autore che guarnisce le canzoni di ritornelli gloriosi ed arrangiamenti rigogliosi, tendendo alla costante ricerca della perfezione formale. Il suo pop d’autore non disdegna le operazioni filologiche, ripescando musiche da film o temi classici.
Nell’incipit del disco si richiama il tema scritto da Ennio Morricone per “L’uccello dalle piume di cristallo”, film di Dario Argento del 1970.
Altrove vengono ripresi Gustav Mahler, Igor Stravinsky, molta musica e letteratura del Novecento, dando vita ad intermezzi barocchi grazie all’apporto della Film Harmony Orchestra di Breslavia, registrata direttamente in Polonia, dove il passo è stato breve per riesumare la storia di Olivier Messiaen.
“Il finale” è un omaggio al fantasma del celebre compositore francese: arrestato durante la seconda Guerra Mondiale ed internato presso il campo di Gorlitz, scrisse un tema per trio che gli fu consentito nel 1941 di eseguire nello spiazzale della prigione, in condizioni meteo proibitive e con strumenti di fortuna.
Il trio di Montepulciano produce musica dal forte impatto emotivo, si nutre di immagini fantasmatiche tramutando in slanci poetici le situazioni più disparate, come nelle improvvise apparizioni di “Diorama”.
Ispirata da una poesia di Antonio Riccardi e dalle installazioni che ricostruiscono gli ambienti naturali nei musei (in questo caso siamo nel Museo Civico di Storia Naturale di Milano), “Diorama” è una storia che riguarda fantasmi molto particolari: istanti fissati per sempre, momenti definitivamente immutabili, con i Baustelle che riescono ad illuminare attraverso splendidi versi le cose perdute e ormai fossilizzate.
Il Cimitero Monumentale di Milano ispira invece “Monumentale”, uno dei momenti più intensi dell’album, dove l’algida e apparentemente distaccata Rachele Bastreghi prende il centro della scena: qui sono i fantasmi che animano le mute tombe di un cimitero a suggerire la storia, interferenze misteriose che ci collegano inevitabilmente al passato.
I fantasmi di solito appaiono nelle case infestate, come ci ha sempre trasmesso la letteratura gotica, ma a volte possono presentarsi in luoghi inusuali, come nei solchi di un disco, possono essere celati nel nostro abisso interiore (“Cristina”, l’episodio più spumeggiante, quello che vi ritroverete inconsapevolmente a canticchiare sotto la doccia) oppure essere raffigurazioni di noi stessi in momenti che abbiamo vissuto nel passato (la toccante “Il futuro”, che racconta tutta la disillusione di chi si trova a vivere le conseguenze di scelte importanti).
Da notare la ricerca sui titoli (“Nessun muore”, “Primo principio di estinzione”, “Secondo principio di estinzione”), incentrati sulla costruzione del saldissimo fil rouge che lega assieme l’intera tracklist.
Inutile cercare fra questi solchi le nuove “Gomma” o “Charlie fa surf”, orizzonti briosi e giovanilistici che i Baustelle hanno affrontato molto bene in passato, ma oggi il trio pensa ad altro, si dirige altrove, ha un’orchestra intera a disposizione e vuole approfittarne, togliendosi tutti gli sfizi possibili. Tracce del baustellismo più puro restano comunque ancora ben presenti, sia negli arrangiamenti che nei ritornelli trionfali.
Non mancano riferimenti alla situazione politica contingente, espressi in un “Cavalieri del lavoro simili a Gesù/ Non votiamo gli uomini/ Non li votiamo più” cantato ne “L’estinzione della razza umana” o in un velato cenno a qualcuno (sempre il Presidente del Milan?) che appalta la Rai nel testo di “Nessuno”, e sferzate sulla società che ancora oggi non sempre accetta la diversità (“La natura”).
E ancora fantasmi di cari martoriati che ci perseguiteranno per sempre (“Contà l’inverni” nella quale Bianconi coglie l’occasione per cimentarsi con il dialetto romanesco), improvvisi risvegli ritmati (“Maya colpisce ancora”), riflessioni finali sulla ricerca del bene nell’orrore e dell’eterno nell’età (“Radioattività”).
Le partiture orchestrali sono state scritte da Enrico Gabrielli, un musicista che già con i Calibro 35 persegue da anni un’operazione filologica sulle musiche da film, in quel caso i poliziotteschi degli anni Settanta.
Musicalmente più marginale, rispetto al passato, il ruolo di Claudio Brasini, vista la perdita d’importanza delle chitarre in un album concepito come un insieme di moderni lieder, le composizioni tedesche del XIX secolo per soli voce e pianoforte.
Il disco, che vede per la prima volta i Baustelle nelle vesti di produttori esecutivi, è stato registrato per gran parte nei saloni della Fortezza Medicea di Montepulciano ed in altri luoghi della cittadina in provincia di Siena, paese d’origine della band.
Lo sforzo promozionale messo in campo dalla Warner è stato importante: una serie di video trailer a carattere horror distribuiti sul web, una striscia quotidiana per dieci giorni su Radio Rai, spazi rilevanti su tutti i maggiori quotidiani nazionali nei giorni immediatamente precedenti alla pubblicazione, qualche copertina di rilievo e un rigoroso top secret sui contenuti del disco.
“Fantasma” è un lavoro non facile, da ascoltare con lentezza e dedizione, che si presta ad assumere una portata didattica, vista la mole di riferimenti contenuti: è il potere formativo della musica, che si è andato progressivamente perdendo negli ultimi decenni, ma che compositori sensibili come Bianconi tentano di mantenere vivo.
Un disco che va analizzato nella sua interezza, a prescindere dal giudizio sulle singole canzoni, che possono piacere o meno: qui c’è un progetto da valutare, la costruzione di un album fondamentalmente pop, ma concepito per restare, lontano anni luce da tanta musica usa e getta che caratterizza la nostra epoca.
Un lavoro profondamente classico ma al tempo stesso avanguardistico, che impone in maniera definitiva i Baustelle come una delle band più significative del nuovo millennio e Francesco Bianconi come uno dei compositori italiani più sensibili e preparati.
Il suo slancio verso una perfezione pop densa di classicismo raggiunge l’apice nel disco più ambizioso finora pubblicato dai Baustelle, i quali con “Amen” conclusero idealmente la personale quadrilogia sull’età giovanile, per lanciarsi da “I mistici dell’occidente” verso un percorso più “adulto”.
Bianconi è da sempre alla costante ricerca di una forma “alta” di canzone, che si lascia ispirare senza timori reverenziali tanto dai migliori cantautori di casa nostra (De André e Battiato in primis) quanto dagli storici chansonnier d’oltralpe (Brassens, Gainsbourg).
Una sorta di equivalente musicale di Quentin Tarantino: un citazionista che si è cibato delle cose che ama, le ha triturate, le ha rielaborate, riuscendo nel tempo a sviluppare uno stile personale che oggi lo identifica e lo caratterizza (nel bene e nel male) presso il grande pubblico.
Alle volte può legittimamente apparire insolente o snob, ma il successo che si è ritagliato come songwriter (per sé e per altri) è indiscutibilmente meritato, frutto del superbo lavoro svolto in questi anni.
Per “Fantasma” ha creato un disco organizzato come un film, con tanto di titoli di testa e di coda, interpretabile al tempo stesso come la sua colonna sonora immaginaria, dal taglio profondamente sinfonico, densa di esoterismo, di sonorità spettrali, di citazioni letterarie e cinematografiche.
Niente di nuovo per il suo stile, ma tutto amplificato all’ennesima potenza, ponendo le orchestrazioni al centro del progetto.
Il citazionismo è spintissimo, sin dalla copertina, un omaggio a Nicoletta Elmi, con la bimba ritratta in atteggiamento soprannaturale, a metà strada fra il demoniaco ed i quadri di Klimt, ma è tutto l’artwork a richiamare l’estetica dei film horror anni Settanta.
E’ raro di questi tempi imbattersi in un disco così pensato, con un’idea centrale fortissima, nel quale ogni singolo dettaglio è stato pesato e ponderato oltre misura per far parte di un congegno perfettamente sincronizzato.
Si tratta di un concept figlio dei fantasmi della nostra epoca, dove il tema aggregatore è il trascorrere del tempo: in tredici tracce e sei intermezzi strumentali vengono scandagliate le nostre paure, le nostre solitudini, i nostri incubi.
Tutto è intriso di quel maledettismo figlio di Baudelaire e della “Spoon River Anthology” di Edgar Lee Masters, la percezione dei fantasmi come specchi riflettenti il nostro io, e la conclusione che spesso i più temibili spettri siamo proprio noi stessi.
Il fantasma è la conseguenza più romantica dell’evento della morte: ma la morte esiste davvero, oppure è il più grande degli inganni? I Baustelle decidono di prendere spunto dai tormenti più amari per affrontare l’evento della perdita in maniera artistica.
Ma dentro “Fantasma” non c’è soltanto scuro pessimismo cosmico, le argomentazioni sono grevi soltanto in apparenza: bastano pochi approfondimenti per comprendere quanto in queste liriche a trionfare siano la speranza, l’amore, la vita.
Persino in “La morte (non esiste più)”, il prezioso instant classic che ha anticipato di qualche settimana la pubblicazione dell’album, il protagonista trova conforto in una visione pura, ultraterrena dell’amore, riuscendo così ad allontanare la paura di morire: un testo sul sollievo, non certo un inno alla fine dei giorni.
Ci sono delle costanti che si ripetono nel songwriting di Bianconi, quali il misticismo, il richiamo a Dio, alla morte, alla guerra, ed anche stavolta non si esce dal seminato, con l’autore che guarnisce le canzoni di ritornelli gloriosi ed arrangiamenti rigogliosi, tendendo alla costante ricerca della perfezione formale. Il suo pop d’autore non disdegna le operazioni filologiche, ripescando musiche da film o temi classici.
Nell’incipit del disco si richiama il tema scritto da Ennio Morricone per “L’uccello dalle piume di cristallo”, film di Dario Argento del 1970.
Altrove vengono ripresi Gustav Mahler, Igor Stravinsky, molta musica e letteratura del Novecento, dando vita ad intermezzi barocchi grazie all’apporto della Film Harmony Orchestra di Breslavia, registrata direttamente in Polonia, dove il passo è stato breve per riesumare la storia di Olivier Messiaen.
“Il finale” è un omaggio al fantasma del celebre compositore francese: arrestato durante la seconda Guerra Mondiale ed internato presso il campo di Gorlitz, scrisse un tema per trio che gli fu consentito nel 1941 di eseguire nello spiazzale della prigione, in condizioni meteo proibitive e con strumenti di fortuna.
Il trio di Montepulciano produce musica dal forte impatto emotivo, si nutre di immagini fantasmatiche tramutando in slanci poetici le situazioni più disparate, come nelle improvvise apparizioni di “Diorama”.
Ispirata da una poesia di Antonio Riccardi e dalle installazioni che ricostruiscono gli ambienti naturali nei musei (in questo caso siamo nel Museo Civico di Storia Naturale di Milano), “Diorama” è una storia che riguarda fantasmi molto particolari: istanti fissati per sempre, momenti definitivamente immutabili, con i Baustelle che riescono ad illuminare attraverso splendidi versi le cose perdute e ormai fossilizzate.
Il Cimitero Monumentale di Milano ispira invece “Monumentale”, uno dei momenti più intensi dell’album, dove l’algida e apparentemente distaccata Rachele Bastreghi prende il centro della scena: qui sono i fantasmi che animano le mute tombe di un cimitero a suggerire la storia, interferenze misteriose che ci collegano inevitabilmente al passato.
I fantasmi di solito appaiono nelle case infestate, come ci ha sempre trasmesso la letteratura gotica, ma a volte possono presentarsi in luoghi inusuali, come nei solchi di un disco, possono essere celati nel nostro abisso interiore (“Cristina”, l’episodio più spumeggiante, quello che vi ritroverete inconsapevolmente a canticchiare sotto la doccia) oppure essere raffigurazioni di noi stessi in momenti che abbiamo vissuto nel passato (la toccante “Il futuro”, che racconta tutta la disillusione di chi si trova a vivere le conseguenze di scelte importanti).
Da notare la ricerca sui titoli (“Nessun muore”, “Primo principio di estinzione”, “Secondo principio di estinzione”), incentrati sulla costruzione del saldissimo fil rouge che lega assieme l’intera tracklist.
Inutile cercare fra questi solchi le nuove “Gomma” o “Charlie fa surf”, orizzonti briosi e giovanilistici che i Baustelle hanno affrontato molto bene in passato, ma oggi il trio pensa ad altro, si dirige altrove, ha un’orchestra intera a disposizione e vuole approfittarne, togliendosi tutti gli sfizi possibili. Tracce del baustellismo più puro restano comunque ancora ben presenti, sia negli arrangiamenti che nei ritornelli trionfali.
Non mancano riferimenti alla situazione politica contingente, espressi in un “Cavalieri del lavoro simili a Gesù/ Non votiamo gli uomini/ Non li votiamo più” cantato ne “L’estinzione della razza umana” o in un velato cenno a qualcuno (sempre il Presidente del Milan?) che appalta la Rai nel testo di “Nessuno”, e sferzate sulla società che ancora oggi non sempre accetta la diversità (“La natura”).
E ancora fantasmi di cari martoriati che ci perseguiteranno per sempre (“Contà l’inverni” nella quale Bianconi coglie l’occasione per cimentarsi con il dialetto romanesco), improvvisi risvegli ritmati (“Maya colpisce ancora”), riflessioni finali sulla ricerca del bene nell’orrore e dell’eterno nell’età (“Radioattività”).
Le partiture orchestrali sono state scritte da Enrico Gabrielli, un musicista che già con i Calibro 35 persegue da anni un’operazione filologica sulle musiche da film, in quel caso i poliziotteschi degli anni Settanta.
Musicalmente più marginale, rispetto al passato, il ruolo di Claudio Brasini, vista la perdita d’importanza delle chitarre in un album concepito come un insieme di moderni lieder, le composizioni tedesche del XIX secolo per soli voce e pianoforte.
Il disco, che vede per la prima volta i Baustelle nelle vesti di produttori esecutivi, è stato registrato per gran parte nei saloni della Fortezza Medicea di Montepulciano ed in altri luoghi della cittadina in provincia di Siena, paese d’origine della band.
Lo sforzo promozionale messo in campo dalla Warner è stato importante: una serie di video trailer a carattere horror distribuiti sul web, una striscia quotidiana per dieci giorni su Radio Rai, spazi rilevanti su tutti i maggiori quotidiani nazionali nei giorni immediatamente precedenti alla pubblicazione, qualche copertina di rilievo e un rigoroso top secret sui contenuti del disco.
“Fantasma” è un lavoro non facile, da ascoltare con lentezza e dedizione, che si presta ad assumere una portata didattica, vista la mole di riferimenti contenuti: è il potere formativo della musica, che si è andato progressivamente perdendo negli ultimi decenni, ma che compositori sensibili come Bianconi tentano di mantenere vivo.
Un disco che va analizzato nella sua interezza, a prescindere dal giudizio sulle singole canzoni, che possono piacere o meno: qui c’è un progetto da valutare, la costruzione di un album fondamentalmente pop, ma concepito per restare, lontano anni luce da tanta musica usa e getta che caratterizza la nostra epoca.
Un lavoro profondamente classico ma al tempo stesso avanguardistico, che impone in maniera definitiva i Baustelle come una delle band più significative del nuovo millennio e Francesco Bianconi come uno dei compositori italiani più sensibili e preparati.
(01/02/2013)
Ιt's difficult to find experienced people in this particular topic, however, you sound like you know what you'rе talking аbоut!
RispondiEliminaThanks
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