ALICE IN CHAINS
"The devil put dinosaurs here"
Ogni nuovo album del gruppo di Jerry Cantrell è un avvenimento. Anche nel 2013. Soprattutto dopo il riuscitissimo "Black give way to blue" del 2009, che presentava in formazione il nuovo cantante William DuVall, c'era curiosità per vedere se anche stavolta il gruppo avrebbe saputo riconfermarsi. E la risposta è assolutamente e totalmente positiva. "The devil..." è un disco "Cantrelliano"al 100%, dove troviamo tutto quello che ci deve essere in un album degli Alice in chains: il suono asciutto, le chitarre sporche e pesanti, le melodie acide, gli impasti vocali di Cantrell e DuVall. Il quale dimostra alla seconda prova di potere tranquillamente meritare il posto che si è ritagliato nei cuori dei fan. Insomma un disco potente, arcigno, duro e massiccio. Un grande disco, forse addirittura superiore al precedente.
E come sempre, se non vi fidate del mio giudizio, leggetevi anche la recensione uscita sul sito "Outsiders" e che riportiamo qui sotto.
Jerry Cantrell e la sua creatura son tornati, in grande stile come
sempre. Rimasti orfani del mai abbastanza compianto Layne Staley, i
rimanenti tre membri decidono nel 2005 di riunirsi insieme al talentuoso
William DuVall per riprendere con orgoglio la loro storia tribolata,
conclusa diversi anni prima della morte del loro frontman a causa del
suo rapporto con la droga. Quattro anni dopo tornano sulle scene con Black Gives Way to Blue
che riporta in auge il marchio Alice in Chains e la sua affascinante
storia. Come per il predecessore, il nuovo album chiude ulteriormente lo
spazio alle critiche mosse dopo la reunion, nonostante il rischio di un
copia/incolla senza ispirazione tipico delle reunion di vecchie
formazioni. Dodici tracce che si muovono con soluzione di continuità tra
passato e futuro, dove il dualismo vocale si ripropone prepotentemente,
vero marchio di fabbrica della band di Seattle. La triade che apre il
disco (Hollow, Pretty Done e Stone) è nel classico stile Alice in Chains, tematiche oppimenti su un’intelaiatura sonora opprimente e vagamente pischedelica. Con Voices e Scalpel riapriamo il barattolo di mosche chiuso vent’anni fa, The Devil Put Dinosaurs Here e Phantom Limb
gli inizi nella quale si “moriva giovani”. Sarebbe opportuno citare
ogni traccia, tale è l’importanza di ogni singola nota di questo lavoro
dove nulla è lasciato al caso, senza che l’ascoltatore si distragga a
causa di un già sentito che ha il difetto di non avere la minima
ispirazione.
La morte e le tematiche claustrofobiche sono state il motore di questa band, che in un momento delicato della loro carriera è entrata prepotentemente nelle loro vite, trascinando via una delle più grandi e sottovalutate personalità del rock moderno. Fisicamente Layne ha lasciato i suoi compagni di avventura, ma lo spirito è rimasto incollato ai loro strumenti e alla penna di Jerry Cantrell, che sapientemente non ha messo sulle spalle del nuovo arrivato il fardello dell’ingombrante figura del frontman scomparso. Le due voci che si accompagnano e si rincorrono non intaccano la magia degli anni passati, ma li salvaguardano e li distinguono senza scimmiottarli, rendendo il giusto carico di emozioni che ha un dolce sapore di tributo.
Una band che ha saputo reinventarsi senza speculare sul proprio passato, un nuovo inizio per ricostruire se stessi più che il proprio conto in banca, per continuare giorno dopo giorno a dare voce a chi ha contribuito a renderli quello che sono.
La morte e le tematiche claustrofobiche sono state il motore di questa band, che in un momento delicato della loro carriera è entrata prepotentemente nelle loro vite, trascinando via una delle più grandi e sottovalutate personalità del rock moderno. Fisicamente Layne ha lasciato i suoi compagni di avventura, ma lo spirito è rimasto incollato ai loro strumenti e alla penna di Jerry Cantrell, che sapientemente non ha messo sulle spalle del nuovo arrivato il fardello dell’ingombrante figura del frontman scomparso. Le due voci che si accompagnano e si rincorrono non intaccano la magia degli anni passati, ma li salvaguardano e li distinguono senza scimmiottarli, rendendo il giusto carico di emozioni che ha un dolce sapore di tributo.
Una band che ha saputo reinventarsi senza speculare sul proprio passato, un nuovo inizio per ricostruire se stessi più che il proprio conto in banca, per continuare giorno dopo giorno a dare voce a chi ha contribuito a renderli quello che sono.
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