26 giugno 2012

JOE JACKSON "THE DUKE"

JOE JACKSON
"THE DUKE"
A 4 anni di distanza da "Rain", bellissimo disco pop-rock, il vecchio Joe spiazza ancora tutti con un tributo a Duke Ellington tanto multiforme quanto moderno ed intrigante.
Eccovi la recensione del sito ondarock.it

"Ho una venerazione per Duke Ellington, ma questo disco non vuole essere un omaggio deferente". Non è una dichiarazione di facciata, quella con cui Joe Jackson introduce il suo nuovo album in studio, che esce a cinque anni da "Rain". E per dimostrarlo sfila dall'armamentario strumentale di Duke Ellington l'asse centrale: le trombe. "The Duke", quindi, rilegge il repertorio del leggendario compositore jazz facendolo suonare in modo del tutto inedito, attraverso una varietà inaspettata di ritmi e sfumature sonore.
Un'operazione ambiziosa, per la quale Jackson ha mobilitato un supercast di musicisti, tra i quali la violinista Regina Carter, il bassista Christian McBride, il funambolo Steve Vai alle chitarre, Questlove e altri membri dei Roots, la cantante iraniana Sussan Deyhim, la diva r'n'b Sharon Jones e la vocalist brasiliana Lilian Vieira (Zuco 103), oltre a suoi collaboratori di vecchia data, come il chitarrista Vinnie Zummo e il percussionista Sue Hadjopoulos, e a sua maestà Iggy Pop, che duetta con lui in "It Don't Mean A Thing (If You Ain't Got That Swing)".

Chiaro l'assunto da cui è partito Jackson - che poi è lo stesso della sua musica da sempre: Duke Ellington, come tutti i suoi idoli, da Gershwin a Porter, non è una leggenda imbalsamata da Hall of Fame, ma un compositore ancora attuale, la cui opera è materia viva, che può essere costantemente rielaborata e reinventata, in quell'ottica sincretica che ha sempre contraddistinto il repertorio dell'allampanato songwriter inglese. Un mondo in cui non vi sono mai stati paletti tra rock, pop, jazz o Classica. E quindi figurarsi se potevano esservene nel reinterpretare i brani di un compositore duttile e "avanti" per antonomasia come il Duca.

Fin dai primi rintocchi di piano e dagli arpeggi elettrici dell'iniziale "Isfahan", un bel tema strumentale di oltre cinque minuti, si intuisce che l'atmosfera è quella giusta: una vellutata serata di jazz classico e immortale, venato però da una tensione elettronica che lo rende molto vicino a certe produzioni contemporanee, in bilico tra modern classical e world music. Perché le percussioni e i violini di "Caravan", ad esempio, sono puro cosmopolitismo musicale, specie se affiancati ai vocalizzi mesmerici (in Farsi) della magnifica Sussan.
E lo standard "Perdido" - composto da Juan Tizol e inciso per la prima volta da Ellington nel 1941 - si impregna di sensualità e saudade brasileira, grazie alla interpretazione solare della Vieira. Ma le radici sono sempre ben piantate nella tradizione americana, come ci ricorda un rhythm'n'blues d'antan come "I Ain't Got Nothin' But The Blues", affidato all'ugola della soul-diva Sharon Jones e arricchito da un pazzesco lavoro orchestrale, che rimanda ai più maniacali Steely Dan.

Alla sua voce, sempre inconfondibile anche se non più graffiante come un tempo, Jackson consegna invece un terzetto di appassionati omaggi: la swingante "I'm Beginning To See The Light" (medley di tre temi di Ellington, "I'm Beginning To See The Light", "Take The A Train" e "Cotton Tail"), la struggente, pittorica "Mood Indigo" e una "I Got It Bad (And That Ain't Good)" romantica e disperata, quindi perfetta per il suo crooning (anche se, paradossalmente, era proprio il brano che non voleva cantare e aveva tentato, invano, di assegnare ad altri).
Quasi un divertissement, invece, il duetto conclusivo con un cavernosissimo Iggy Pop in "It Don't Mean A Thing (If It Ain't Got That Swing)", trascinato dall'orchestra e dai coretti su ubriacanti cadenze swing. "Volevo fare quel pezzo su toni più bassi, la mia voce non ci riusciva, allora mi è tornata in mente 'The Passenger'...", l'antefatto raccontato da Jackson.
Completano il quadro due altri riusciti strumentali, come la scalpitante "Rockin' In Rhythm", che ti farebbe battere il piede a tempo a ogni ascolto, e la sorniona "The Mooche/ Black And Tan Fantasy", impreziosita da superbi intarsi chitarristici.

Prodotto dallo stesso Jackson, registrato e mixato da Elliot Scheiner (Steely Dan, Bob Dylan, Sting), "The Duke" è il miglior omaggio possibile che Ellington potesse ricevere nel 2012, nonché l'ennesimo saggio della classe di un compositore che non finisce mai di stupire per la sua versatilità di musicista-arrangiatore e per l'anticonvenzionalità del suo approccio. Chi vi si accosterà con lo scetticismo che accompagna questo genere di operazioni è avvisato: questo non è solo un disco di cover, questo è un disco di Joe Jackson a tutti gli effetti.


(17/06/2012)



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